Il 24 marzo 1972 uno dei film migliori della storia del Cinema usciva in sala, era Il Padrino (The Godfather). Dietro la cinepresa, un maestro della New Hollywood, Francis Ford Coppola. E davanti ad essa, un cast di future star, come Al Pacino, Diane Keaton, Robert Duvall, James Caan, John Cazale, Talia Shire, e uno degli attori simbolo del Cinema stesso: Marlon Brando.
La trama (per chi non lo conoscesse)
La famiglia Corleone, composta dai figli Santino “Sonny” (James Caan), Fredo (John Cazale) e Michael (Al Pacino), ex marine venuto con la sua nuova ragazza Kay Adams (Diane Keaton), festeggia il matrimonio della sorella Connie (Talia Shire) con Carlo Rizzi (Gianni Russo), mentre Don Vito Corleone (Marlon Brando), padre e boss, ascolta le richieste e cura gli affari della famiglia insieme al consigliere e avvocato, nonché figlio adottivo Tom Hagen (Robert Duvall).
SPOILER (se non l’avete mai visto) – Poco prima di Natale Vito rifiuta un affare di droga proposto da Virgil Sollozzo (Al Lettieri), spacciatore al soldo della famiglia Tattaglia. Per questo il Don subisce due attenti che lo portano in ospedale. È il figlio Michael a vendicarlo, uccidendo Sollozzo e la sua guardia del corpo, il corrotto capitano McCluskey (Sterling Hayden).
Michael si nasconde in Sicilia, mentre la famiglia viene guidata da Sonny durante la guerra ormai dilagata a tutte le Cinque Famiglie. Quando Sonny viene ucciso a tradimento, Vito cerca di porre fine al conflitto facendo un accordo con Don Emilio Barzini (Richard Conte), l’uomo che controlla i Tattaglia. Michael, tornato dalla Sicilia, dove si era sposato e aveva perso la moglie per un’autobomba destinata a lui, con il benestare paterno prende le redini della famiglia e succede a Vito, il quale muore poco dopo.
Il nuovo capofamiglia, in breve, liquida tutti i suoi oppositori, compreso il caporegime dei Corleone Sal Tessio (Abe Vigoda), vendutosi a Barzini, e il cognato Carlo, che aveva contribuito all’assassinio di Sonny. Michael, nonostante l’odio di sua sorella e i dubbi che si insinuano in Kay, sua nuova moglie, diventa il nuovo Don Corleone.
Parte tutto da un romanzo
Mario Puzo (1920-1999) era uno scrittore già pubblicato, con poco successo, e fortemente indebitato quando iniziò a lavorare ad un romanzo sul crimine organizzato. Nel 1969 uscì Il Padrino. Fu un successo clamoroso, con 67 settimane di permanenza nella classifica dei bestseller del New York Times.
Già nel 1967 la Paramount aveva annunciato la sua intenzione di sostenere il suo materiale nella speranza di farne un film, e mantennero Puzo nel progetto, che si occupò infatti della sceneggiatura insieme a Coppola.
È stata la mano di Francis
Dopo i rifiuti di molti registi affermati, come Peter Yates (Bullitt), Arthur Penn (Gangster Story, Piccolo Grande Uomo), Costa-Gavras (Z – L’orgia del potere), la Paramount decise che serviva un regista italo-americano per il tipo di storia trattata, e saltò fuori un nome: Francis Ford Coppola. Ma il regista iniziò quello che sarebbe stato il suo decennio migliore indebitato e al verde.
Laureatosi in Arti Teatrali alla Hofstra University nel 1960 e poi iscrittosi alla UCLA per un master in Belle Arti, Coppola mosse i primi passi nel mondo reale della cinematografia dirigendo porno soft-core (Tonight for Sure, 1962) e facendo da assistente al regista di B Movies, Roger Corman. Fu con lui che imparò a padroneggiare il montaggio, l’arte della registrazione del suono e gli espedienti per concludere un film con pochi mezzi e in poco tempo. Grazie a Corman Coppola diresse il suo primo lungometraggio mainstream, Dementia 13 (1963).
Nel ’66 presentò come sua tesi di master Buttati Bernardo!, che concorse per la Palma d’oro. Seguirono poi Sulle Ali Dell’Arcobaleno (1968) e Non torno a casa stasera (1969), due insuccessi commerciali. I guai finanziari agli albori degli anni ’70 derivarono dall’apertura di uno studio con George Lucas, suo amico e collega, l’American Zoetrope. In compenso la Paramount si interessò a lui poiché aveva la reputazione di essere un regista in grado di realizzare un film con risorse modeste (avendo comunque vinto un Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale nel 1970 per Patton).
Dopo un’iniziale rifiuto, Coppola rimase affascinato dalla gestione di New York da parte delle famiglie mafiose. Leggendo e documentandosi vide nel romanzo di Puzo qualcosa di più di pistole, sesso e spaghetti. Avrebbe fatto il film a una condizione: che non fosse un film sui gangster organizzati ma un’epica saga familiare. Una metafora del capitalismo in America.
Star Cast, o come Coppola ottenne tutti gli attori che sognava
All’inizio dell’ingaggio il regista già sognava il cast che poi sarebbe stato quello effettivo. Marlon Brando come Don Vito, James Caan come Sonny, Robert Duvall come Tom Hagen, Diane Keaton come Kay Adams e Al Pacino come Michael.
Brando, all’epoca quarantasettenne, era visto nell’industria come un vecchio e irascibile uomo di successo. Il suo ultimo decennio era stato inoltre costellato di insuccessi finanziari. I pezzi grossi dello studio fecero moltissimi nomi famosi, come Anthony Quinn, Ernest Borgnine e Charles Bronson. Per loro perfino uno sconosciuto sarebbe stato meglio di Brando. Coppola però credette in lui al punto da andare a filmare a casa sua il provino da portare ai capi dello studio, i quali alla visione della performance incredibile dell’attore lo scritturarono.
Caan e Duvall avevano recitato in Non torno a casa stasera, e il primo poi era stato compagno universitario di Coppola. Erano già attori avviati. Pacino invece era un attore principalmente di teatro, vincitore di un Tony. Keaton aveva recitato nel musical Hair (1969) e in Provaci ancora, Sam (1972). Tutti loro erano lontani dall’essere le stelle che sono oggi.
Coppola si impegnò ancora in prima persona, registrando i loro provini e rigettando ogni proposta di nomi che lo studio faceva. Per la parte di Michael, proposero Robert Redford, Ryan O’Neal, Martin Sheen, e molti altri. Per il ruolo di Kay, Karen Black, Blythe Danner e altre attrici.
Fino all’ultimo poi, dopo che i ruoli di Duvall e Keaton furono confermati, non si seppe con certezza se Caan avrebbe interpretato Sonny o Michael e se Pacino sarebbe stato nel film. Il regista ottenne ciò che voleva; a Pacino il ruolo di Michael e a Caan quello del violento Sonny.
Fu invece Fred Roos, direttore del casting, a scoprire John Cazale (singolare e bravissimo attore prematuramente scomparso), all’epoca impegnato nel teatro, cui andò il ruolo dell’inetto Fredo Corleone. Paradossalmente Talia Shire, sorella del regista e interprete di Connie Corleone, fu scelta dallo studio. Coppola, sebbene contrario all’idea, decise di concedere questa vittoria alla Paramount.
Coppola inoltre si batté con lo studio per la città dove girare: New York. La Paramount voleva una città dove i sindacati avrebbero interferito di meno, ma la spuntò il regista. Fu qui che il produttore del film, Albert S. Ruddy, dovette accordarsi con la Italian American Civil Rights League, la quale “di facciata” era contraria all’immagine diffamante che si dava degli italo-americani, e ufficiosamente era innervosita dai rimandi del film alla mafia.
La parola “mafia” non viene mai pronunciata nel film.
Durante le riprese, Coppola era solito incoraggiare gli attori a improvvisare durante le prove, al fine di apportare alcune revisioni dell’ultimo minuto alla sceneggiatura prima di girare una scena.
Per Francis una sceneggiatura è come un giornale. Ne esce uno nuovo ogni giorno
Dean Tavoularis, scenografo e frequente collaboratore di Coppola
Questo metodo di lavoro lo portò spesso a forti litigi con il direttore della fotografia Gordon Willis (Una Squillo Per l’Ispettore Klute, 1971), il cui rivoluzionario lavoro fu caratterizzato dall’illuminazione rada e dall’accentuazione delle ombre.
Ci furono molti tentativi e minacce di rimpiazzo, da parte dei suoi assistenti e da parte dello studio. Coppola era incompreso e mal tollerato da molti della produzione per le sue idee. E, alla fine delle riprese, sorsero i problemi del montaggio e delle musiche.
Allo studio, che voleva un film della durata inferiore alle 3 ore previste, Coppola presentò una prima versione del film di 2 ore e 15 minuti, giudicata inaccettabile. Si tornò quindi alle 3 ore pensate dal regista. I produttori volevano poi una colonna sonora tutta americana, e avevano incaricato Henry Mancini (Colazione da Tiffany, 1961) di crearne una. Coppola invece voleva un compositore che Toscanini aveva definito “il Mozart italiano”, Nino Rota, allora sessantenne.
La spuntò ancora una volta, ma la colonna sonora fu giudicata ineleggibile agli Oscar. Rota aveva riciclato della musica da un suo precedente film. Alla sera degli Oscar Il Padrino guadagnò 3 Oscar importanti a fronte di 10 nominations: Miglior Attore Protagonista a Marlon Brando (rifiutato per protesta in favore dei diritti dei nativi); Miglior Sceneggiatura Non Originale a Francis Ford Coppola e Mario Puzo; Miglior Film ad Albert S. Ruddy.
Campione d’incassi del suo anno, Il Padrino è oggi considerato uno dei migliori film mai fatti.
In breve – Quattro citazioni per illustrarne la magnificenza
1 – Io credo nell’America
Uno degli incipit più emozionanti di sempre. Il lungo monologo che segue, pronunciato da Amerigo Bonasera (Salvatore Corsitto) demolisce il sogno americano. Il paese che lo ha arricchito in passato oggi lo ha tradito. La giustizia negata dallo stato potrà però essere concessa da un mafioso.
2 – Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare
La spietatezza è il tratto distintivo di questi uomini. Il modo brutale e calcolatore di trattare gli affari da parte dei due capifamiglia, Vito e Michael, esemplifica la loro natura mefistofelica. Ne sono un esempio la celebre scena della testa di cavallo e la “strage del battesimo” finale.
3 – Lascia la pistola. Prendi i cannoli
Il mantra che ha cambiato il modo di concepire i film di Gangster.
Racchiude in poche parole questo mondo dove convivono la quotidianità domestica e l’amore per la cucina insieme alla gestione di un impero criminale grondante sangue e violenza.
4 – Non chiedermi mai dei miei affari
Tutti questi imperatori del crimine cadono in rovina alla fine. Don Vito muore di infarto in una scena simbolica: proprio mentre impersona un mostro giocando con suo nipote. Michael vorrebbe tenere lontana sua moglie Kay dall’eredità che gli è toccata, ma la sua strada sarà un lento cammino verso la solitudine. Questa frase è il preludio alla frattura insanabile tra loro che ne Il Padrino – Parte II li porterà a lasciarsi.
Gli altri Padrini e l’eredità del film
Il Padrino ebbe due seguiti:
Il Padrino – Parte II (1974), pellicola dalla duplice narrazione che narra le storie di Vito (Robert De Niro) e Michael (Al Pacino). Sequel e prequel insieme, molti lo giudicano superiore al primo film.
Il Padrino – parte III (1990), che racconta il passaggio di potere da Michael (Al Pacino), ormai vecchio, al nipote Vincent Mancini (Andy Garcia), accolto in maniera contrastante, rimane un gran buon film.
Il Padrino è uno dei film più importanti del genere Gangster. Ha fatto scuola nel ritrarre questo mondo oscuro e violento. Ma il suo genere non lo limita. È un’analisi impietosa e magnifica di una realtà cruda e torbida. I grandi temi del potere, del crimine e della famiglia, il perfetto connubio tra immagine-visiva e immagine sonora, le interpretazioni magistrali: quello che resta dopo 50 anni è un ritratto immortale, intimo ed epico di una umanità imperfetta che danza un valzer, tema musicale del film e simbolo del tempo delle diverse generazioni che si sussegue.
Non ho mai fatto un film bello come Il Padrino, e non ho l’ambizione di provarci.
Steven Spielberg
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