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Il discorso perfetto (Laurent Tirard, 2020) - Credits I Wonder Pictures

Scritto e diretto da Laurent Tirard, regista e sceneggiatore dei film su Le Petit Nicolas, Il discorso perfetto è una spassosa commedia che non risparmia colpi bassi, riservando tuttavia una speranza finale quasi fiabesca da cui è rinfrancante lasciarsi cullare e consolare.

Le due anime de Il discorso perfetto, quella esilarante e quella amara, fanno sì che mai ci si adagi su un’ilarità ricercata con ossessione (che rischia, alla lunga, di stancare), e che non ci si impelaghi in un’eccessiva disperazione o in una lezione morale su come (non) gestire le relazioni affettive. Il mix perfetto dei due elementi è in grado di trasportare lo spettatore in un’ora e mezza fulminea, che ha il sapore di una seduta di autocoscienza o di una bella chiacchierata allo specchio con sé stessi.

Il setting de Il discorso perfetto: la temibile sala da pranzo di famiglia – Credits I Wonder Pictures

Il discorso di Adrien

Adrien (Benjamin Lavernhe) è un trentacinquenne pieno di idiosincrasie e debolezze caratteriali (che lo rendono assolutamente “normale” e vicino allo spettatore). Un giorno, a suo dire inaspettatamente, la fidanzata Sonia (Sara Giraudeau) gli chiede una “pausa” dalla loro relazione: Adrien entra in un tunnel di disperazione e depressione (vivendo delle fasi che ricordano quelle dell’elaborazione del lutto) fino al 38esimo giorno di separazione, quando decide di inviarle un SMS. Quello stesso giorno, mentre è in trepidante attesa di una sua risposta, viene invitato a una cena di famiglia: riuniti al tavolo della sala da pranzo, i genitori, la sorella e il soon-to-be cognato (con la sua richiesta ad Adrien di fare un discorso per il loro matrimonio), fanno scattare un lungo monologo-disamina della vita e delle relazioni del nostro protagonista.

Tra passato, presente e (ipotetico, auspicato, temuto) futuro, la trascinante e ritmatissima narrazione – pur nella staticità fattuale del suo svolgimento – ci trasporta in un rollercoaster di emozioni, riflessioni e dolorose consapevolezze.

Il discorso tanto menzionato e temuto (e messo in scena, in un ritorno sempre diverso degli scenari potenziali) diventa espressione ultima e diegetica del meccanismo narrativo che muove l’intero film. Il discorso che Adrian tanto teme è, in realtà, una forma più ufficiale del suo coinvolgente monologo, che si configura quasi come la sua prova generale. E lui, che tanto teme di non essere in grado di reggerne il peso, si dimostra abilissimo oratore, dalle cui labbra pendiamo.

Adrien (Benjamin Lavernhe) in uno degli scenari immaginati – Credits I Wonder Pictures

In un gioco di sovrapposizioni, il discorso finale diventa parte, unendovisi, del discorso “in camera” su cui si basa il film, in una disconnessione di piani temporali e regimi narrativi che fino all’ultimo (non fosse per il “suggerimento” derivante dalla prossimità della fine della storia) non fa capire che proprio quello che stiamo sentendo è la versione ufficiale, reale del famigerato discorso. Di cui in realtà non abbiamo una certificazione di veridicità. E forse allora è solo l’ennesima delle versioni possibili, quella più lieta, quella che, noi come il protagonista, vogliamo disperatamente che sia quella vera.

Un ingranaggio perfetto

Il discorso perfetto si basa su un ampliamento del setting reale – la sala da pranzo – in spazio immaginario e passato, che si dilata grazie alla forza creatrice della parola e del ricordo. E a noi non resta che lasciarci sballottare avanti e indietro dal flusso talvolta stordente che ci sbalza in momenti e situazioni che aprono svariate finestre sulla personalità di Adrien.

Ed è molto facile riconoscersi nei pregi ma soprattutto nei difetti di Adrian. Abbracciano infatti con estrema limpidezza e senza vergogna (proprio perché mostrati “solo” a noi, come se fossimo la coscienza o uno spirito affine del protagonista) un ampio spettro di inettitudine, autocommiserazione e inadeguatezza che diventa facile aver sperimentato, in un verso o nell’altro.

Benjamin Lavernhe regge la durata del film sulle sue larghe spalle da membro della Comédie Française, e torna nei panni di Sonia una nostra vecchia conoscenza: Sara Giraudeau, che avevamo visto nel meraviglioso episodio di Criminal: Francia sull’attentato al Bataclan. I comprimari reggono il gioco alla perfezione, con diversi tipi di comicità e profondità di profondità e rispecchiamento di esperienza vissute.

Ecco il trailer:

Dal 10 febbraio, andate in sala a scoprire questa piccola perla che vi farà sbellicare, sogghignare, innervosire, riflettere e commuovere.

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