I ragazzi della 56ª strada (The Outsiders). Medusa Film
I ragazzi della 56ª strada (The Outsiders). Medusa Film

Nel marzo del 1983 usciva nelle sale statunitensi I ragazzi della 56ª strada (The Outsiders), decimo lungometraggio diretto da Francis Ford Coppola. Il film vanta un cast di giovani stelle, e la voglia di trasformare visivamente un violento racconto di formazione nella proiezione poetica della giovinezza.

Il film è tratto dal romanzo omonimo di Susan Eloise Hinton, autrice di libri per ragazzi che scrisse I ragazzi della 56ª strada durante i suoi anni di liceo e che riuscì a pubblicarlo nel 1967. Non è l’unico lavoro di Hinton che ha ispirato Coppola; sempre nel 1983 esce infatti anche Rusty il selvaggio (Rumble Fish), un film quasi complementare all’altro, ma molto più crudo e, se vogliamo, incompleto. I ragazzi di Hinton conquistano il regista che ne caratterizza i desideri, le paure, il senso di impotenza che ne domina le esistenze.

Per questo I ragazzi della 56ª strada è uno dei più grandi racconti di formazione mai rappresentati al cinema. Ambientato nel 1965 a Tulsa, Oklahoma, mette in scena i risentimenti di giovani uomini senza famiglia, affacciati sull’alba di un tempo diverso, il futuro, così brillante e eppure altrettanto inaccessibile.

Chi sono I ragazzi della 56ª strada

Darry, Sodapop e Ponyboy: sono i fratelli Curtis, rispettivamente interpretati da Patrick Swayze (nel suo primo ruolo importante), Rob Lowe e C. Thomas Howell. Il più grande, di appena 20 anni, si prende cura degli altri dopo la morte dei genitori, in una Tulsa in cui i giovani si dividono in due gang definite dal loro ceto sociale: i Greasers e i Socials.

Ponyboy, che ha solo 14 anni, fa parte dei Greasers insieme a Johnny (Ralph Macchio) e Dallas (Matt Dillon). Nella banda ci sono anche Keith “Two-Bit” Matthews (Emilio Estevez, che solo due anni dopo sarebbe stato uno dei protagonisti del manifesto generazionale The Breakfast Club), e Steve Randle (Tom Cruise).

Praticamente tutti i più interessanti volti nuovi degli anni ’80 partecipano a questo affresco di forza, ribellione e sofferenza, ormai cult. Gli interpreti del cast del film vengono inseriti nel gruppo dei Brat Pack, formato da attori e attrici statunitensi conosciuti per la loro partecipazione a film manifesto coming of age degli anni ’80.

Dove la poesia ammorbidisce la ruvidezza

Quando i Socials aggrediscono Ponyboy e Johnny la violenza arriva a toccare un punto irreversibile: uno dei ragazzi della gang nemica muore e i due ragazzi devono fuggire per rimanere nascosti qualche giorno in una chiesa abbandonata.

Questa fuga li allontana dal senso di oppressione che da sempre ha governato la loro infanzia e ora l’adolescenza. La violenza, domestica o portata in strada, il pensiero di farla finita, la gabbia sociale in cui sono prigionieri rabbiosi; tutto ciò per un po’ rimane indietro, distaccato dal presente. La distanza tra i loro veri desideri e il quartiere degradato che li ha cresciuti per anni diventa il margine di possibilità per comprendere qualcosa che prima sembrava inaccessibile: non il divario tra ricchi e poveri, ma l’orizzonte comune per entrambi, lo stesso cielo, la stessa terra, le stesse difficoltà nel rimanere a galla e non perdere la voglia di respirare.

I due fuggiaschi, oltre a leggere Via col vento ad alta voce per passare il tempo, riscoprono la sottile bellezza della poesia: sia nel libro che nel film, Ponyboy recita le parole di Nothing Can Stay Gold di Robert Frost. Prima la scrittrice, e poi il regista, scelgono di inserire ed interpretare questa incursione quasi idilliaca della poesia in un mondo fatto di ruvidi estremi, linguaggi feroci e crudeltà. La sequenza di Ponyboy che recita i versi al suo amico Johnny, mentre il cielo cambia colore e la luce gialla e arancione gli ricopre il volto, è una drammatica apoteosi della perdita dell’innocenza, incarnata dall’esistenza in cui i ragazzi di Tulsa si trovano invischiati.

Niente che sia d’oro resta, scrive Frost nel 1923, ma quell’oro diventa per Coppola e il suo film la chiave romantica per fissare un momento di passaggio, un ripensamento in termini di possibilità, una morbida considerazione che torna anche quando tutto sembra perduto.

In breve

Ad ogni visione I ragazzi della 56ª strada esercita lo stesso effetto: riempie gli occhi di violenza e voci spezzate, per poi disarmare totalmente con la bellezza di una manciata di versi, che immediatamente mostrano una possibilità per uscire dal loop al quale ci si convince di essere destinati. Da guardare e riguardare.

Illustrazione di Andrea Nugnes

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.