House of the Dragon 2, HBO, Sky
House of the Dragon 2, HBO, Sky

Seguendo un paradigma che ricorda un tipo di intrattenimento vintage a cui è piacevole tornare, House of the Dragon 2 esce come la prima stagione con un episodio a settimana, riportandoci, come era per Game of Thrones, all’appuntamento immancabile, al terrore per gli spoiler, alla possibilità di avere tempo per ragionare sull’appena visto.

I primi tre episodi ci introducono a nuovi personaggi, approfondiscono alcuni di quelli con cui abbiamo fatto già conoscenza (come la coppia Rhaenys Targaryen/Corlys Velaryon, di cui vorrete sapere sempre di più) e allargano gli orizzonti verso terre distanti da King’s Landing, come la Barriera e Winterfell. Dispongono pedine e intrighi, tradimenti e rivalse, tutto con estrema cautela, edulcorando anche le scene più cruente che i lettori di Fire & Blood aspettavano da tempo. Se tale scelta conduce ad un proseguimento di stagione tutto draghi e sangue, vale la pena fare un bel respiro, e attendere.

Preparare le armi

Alla terza settimana possiamo dire che non è praticamente successo nulla, o se è successo è stato caratterizzato da un filtro per nulla solenne. Eravamo rimasti ad un omicidio (quello di Lucerys Velaryon, primo figlio di Rhaenyra, ucciso dal drago gigantesco di Aemond Targaryen, figlio di Alicent Hightower), e alle parole del Re male interpretate, con un equivoco che aveva portato l’odioso Aegon Targaryen a sedere sul trono, preparando il terreno per una guerra.

La guerra però fatica ad arrivare, questo perché nel delicato equilibrio dell’inizio di stagione si adotta una misura, sia nella rappresentazione che nel racconto, che rispecchia la morigeratezza dei due personaggi femminili protagonisti: Rhaenyra e Alicent. Entrambe convinte di non desiderare fuoco e distruzione, sembrano inizialmente sottomesse dal temperamento maschile che ne offusca il volere; mentre la prima infatti è scossa dall’irrisolutezza di Daemon (suo zio, nonché consorte), la seconda deve rispondere ai traumi dei suoi figli, e alla sfrontatezza di Ser Criston Cole, che sale la china del successo come un ragno lento, ma pronto a mordere.

Se abbiamo imparato qualcosa dall’ascesa di Daenerys Targaryen però, è che anche la donna che sembra più indifesa può prendere il suo drago e comandare Westeros.

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Parrucche color argento e soggettive anni ’90

L’aspetto estetico generale di questi tre episodi è prevalentemente sottotono, come se la creazione dei draghi fosse stata la priorità e il resto avesse avuto qualche taglio al budget. Lo vediamo nelle scelte del look poco ricercato, ma anche in alcune opzioni di regia, come nella soggettiva di Daemon a cavallo del drago che ricordava un film fantasy di pupazzoni. Lo stesso vale per la violenza narrata, che smussa i suoi angoli per abbracciare forse un pubblico più ampio, o per aspirare a metterla in secondo piano per far risaltare le decisioni dei personaggi.

Si inizia con un primo episodio scritto prevalentemente male, con un recap dei fatti accaduti e l’insostenibile sequela di sguardi da telenovela del primogenito di Rhaenyra, Jacaerys Velaryon.

Solo nel secondo episodio, Rhaenyra the Cruel, il racconto della lenta (lentissima) deriva verso la distruzione acquista un senso, poiché scandita da grande ritmo, senza bisogno di troppi dialoghi. La narrazione è composta come una lunga coreografia in cui il guizzo di una regia più ricercata ci ricorda che non è solo un fantasy, o un Beautiful con i draghi. Il terzo preannuncia il peggio, apre nuovi orizzonti e suggerisce un abbandono a quel freno a mano tirato, finalmente. E mostra che l’affetto tra Rhaenyra e Alicent non basta a sventare lo scontro, poiché le due, mostrando la propria umanità, svelano anche egoistiche debolezze.

Alla luce di otto episodi in totale ora non aspettiamo che fuoco e sangue, ma soprattutto un ribaltamento dei personaggi femminili grazie, oltretutto, a due grandi interpreti, Emma D’Arcy ed Olivia Cooke. I draghi più potenti devono ancora lanciarsi in volo.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.