Hit Man. Glen Powell as Gary Johnson. Cr. Brian Roedel / Courtesy of Netflix
Hit Man. Glen Powell as Gary Johnson. Cr. Brian Roedel / Courtesy of Netflix

Al cinema dal 27 giugno il nuovo film di Richard Linklater, Hit Man, con protagonisti Glen Powell (qui alla sua quarta collaborazione con il regista) e Adria Arjona, tra i più attesi del 2024, tratto da un’assurda storia vera.

La sinossi

Gary Johnson (Glen Powell, co-sceneggiatore del film insieme a Linklater) è un ordinario e dimenticabile insegnante di filosofia delle superiori che conduce una vita alquanto monotona in compagnia dei suoi due gatti, Ego ed Es. Nel tempo libero diventa un “nerd” di elettronica ed informatica, passione che l’ha portato a collaborare con la polizia investigativa di New Orleans, dove il film è ambientato.

Per intercettare i potenziali clienti dei sicari, Jasper (Austin Amelio), un poliziotto sotto copertura, si finge uno di loro fino a quando, costretto a sospensione del servizio, dovrà essere sostituito da Gary, il quale ha talento e prende da subito gusto a calarsi nella parte del serial killer, a cui affibbia il nome Ron, fino a quando non incontrerà la bellissima e indifesa Madison (Adria Arjona), intenta a far uccidere l’oppressivo e violento marito.

Prima di andare avanti raccomando di andare al cinema a vedere Hit Man: nonostante l’accortezza di non fare spoiler, l’analisi di alcuni elementi presentati nel film potrebbe depotenziare o togliere in parte sorpresa allo spettatore già conscio dei suoi sviluppi.

Un film indie atipico

Quella che ad uno sguardo superficiale può sembrare la dozzinale commedia hollywoodiana degli equivoci, con l’ennesima scialba love story, nei fatti è la nuova opera di uno dei più importanti e prolifici autori indipendenti americani all’attivo. Per quanto il budget sia stato poco sotto i 9 milioni di dollari – cifra comunque bassa per una produzione statunitense di questa caratura – il ventiduesimo lungometraggio di Richard Linklater rimane nell’essenza un indie vero.

Presentato fuori concorso a Venezia 80, Hit Man è un’atipica e incontrollabile black\romantic comedy che assimila e consolida i canoni cinematografici americani, sovvertendone però le regole in maniera mai prevedibile, dall’inizio alla fine.

In più di un momento sembra ricordare Irrational Man di Woody Allen, ma pervaso da una visione che oltre all’esistenzialismo unisce un’impronta sottilmente buddhista. Filosofia di vita di cui Linklater è praticante e a cui fa riferimento da più di trent’anni, fin dai suoi primi film, come viene raccontato nel bel compendio biografico Dream is Destiny di Louis Black e Karen Bernstein (2016).

Le regole della classica commedia americana si arricchiscono incontrando a tratti una sensibilità più europea, affine alla letteratura russa, in particolare al Delitto e Castigo di Dostoevskij, ma in una chiave decisamente più allegra, ottimista e ricontestualizzata in “epoca Tinder”. In questo senso rimane ancora più valida la similitudine con Allen, che ricordiamo come il più “europeo” dei registi americani.

Come aveva già fatto raccontando l’assurda storia del tenero Bernie (2011), Linklater, insieme a Glen Powell, rielabora un vero caso di cronaca. Ma questa volta decide di mescolare le carte e, a differenza del film con una delle migliori interpretazioni di Jack Black, dove la messa in scena con le finte interviste ricreava una sorta di mockumentary, Hit Man decide di reinventare la storia, giocando ancora coi generi e le aspettative del pubblico, dimostrandolo con grande intelligenza perfino nel finale.

Questa voglia di sperimentare, ricreare generi e stilemi narrativi, nasce da una grande passione cinefila che da sempre accompagna il regista texano e che mai aveva manifestato in maniera così evidente: poco dopo l’inizio, attraverso una scena montage con spezzoni da vari film, Gary spiega con un voice over come sia stato proprio il cinema a creare la figura del sicario. I citati Frank Tuttle, Alfred Hitchcock, Franco Prosperi, Sergio Leone, Michael Winner, Seijun Suzuki e Martin McDonagh sono solo alcuni dei registi ad aver mitizzato questa figura, che nella realtà non esisterebbe.

Hit Man. (L-R) Glen Powell as Gary Johnson and Adria Arjona as Madison in Hit Man. Cr. Brian Roedel/Netflix © 2024

Trasformazione – Ribaltamento

L’abilità di Gary è quella di trasformarsi nel sicario che il cliente si aspetterebbe. Da questo atto possiamo freudianamente speculare sul piacere che l’insegnante di filosofia trae nell’assecondare questa seconda vita, come se fosse un novello Jeckyll\ Mr. Hide. All’inizio è proprio l’ex di Gary, sua unica amica, che gli spiega del recente studio di psicologia che dimostra la possibilità di modificare sé stessi e il proprio carattere anche in età adulta. Questo rapporto dialettico tra Es ed Ego, essere e apparire, istinto e senso logico, sorregge tutto il film. Il protagonista di Hit Man lo esprime in maniera chiara e diretta ai suoi studenti durante una lezione, mentre due studentesse si chiedono come il professore sia diventato improvvisamente così sexy. Studenti siamo un po’ anche noi, che da spettatori esterni osserviamo la messa in atto della sua trasformazione da insegnante a sicario.

Tra Glen Powell e Adria Arjona c’è una grande chimica che instaura una forte tensione sessuale nelle scene più romantiche. Ci sono alcune scene di sesso, ed anche queste prevedono giochi in cui Madison si traveste. Ad esempio Gary, impersonando il sicario Ron, si trasforma nel maschio alpha, forte e protettivo, ritratto come un modello, mentre Madison passa da fragile vittima a vendicativa carnefice. Sono rappresentazioni mai volgari, ma posate, e che anche in questo caso, non mancano di sentimenti umani e scambi ironici spassosi.

Hit Man. (L-R) Adria Arjona as Madison and Glen Powell as Gary Johnson in Hit Man. Cr. Brian Roedel/Netflix © 2024

I personaggi maschili di Linklater sono ritratti come uomini sensibili ma sempre in cerca di qualcosa di nuovo, di una svolta, di un cambiamento. Sembra la parabola del regista stesso, capace di mutare e adattarsi al genere, alla storia che vuole mettere in scena, passando dal mainstream all’animazione sperimentale in rotoscope, dal registro comico-ironico a quello più intimista-introspettivo.

L’inclinazione realistica ritratta dai discorsi che sembrano non avere un fine preciso, da dialoghi fatui (così caratteristici del suo cinema), sono in parte presenti, ma come sfondo per concentrarsi piuttosto sulla creazione di audaci gag e tensioni che si accumulano su malintesi e compromessi.

Linklater non si risparmia di fronte alle nemmeno troppo velate critiche alla società americana rappresentata dai clienti di Gary. Ritratti di persone razziste, conservatori ignoranti, ricchi benpensanti viziati, armaioli e adolescenti vendicativi che nella loro umana ipocrisia sono pronti a sborsare migliaia di dollari pur di eliminare il prossimo per paura, rabbia o ego smisurato.

Soddisfa vedere una chiusura lucente, positiva. Un’apparente leggerezza che ad alcuni potrà apparire scontata, prevedibile, ma che rientra perfettamente nel modus operandi di Linklater.

In un’affermazione si potrebbe riassumere in: i film tendono ad esagerare sempre, i finali positivi sono possibili. Richard Linklater crede nella forza dell’amore e della creatività.

In breve

Hit Man è una commedia decisamente adulta, matura ma soprattutto furba. Ci si possono trovare dentro molteplici e stratificate letture, ed è, volendo, una summa del cinema del suo autore.

Il sorprendente successo che sta ottenendo, per quanto misurato sull’onda dell’algoritmo di Netflix (che ha acquistato i diritti del film) è una grande fortuna per Linklater, poiché gli permetterà di continuare a fare film esattamente come vuole lui. Conferma di come un cinema americano indipendente, fatto di idee e personaggi accattivanti raccontati con uno sguardo unico, possa arrivare al mainstream senza essere necessariamente basato su star multimilionarie e supereroi prodotti con lo stampino.

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