Come procede il tentativo di mutua (e affezionata) distruzione tra Deborah Vance, stella della stand-up in declino, e Ava Daniels, autrice promettente ma instabile? Molto bene a giudicare dalla seconda stagione di Hacks, trasmessa su HBO Max tra maggio e giugno 2022. Otto nuovi episodi che mantengono tutte le promesse della prima stagione, deliziandoci con personaggi e situazioni che disegnano attorno alle protagoniste un mondo sgangherato ma plausibile – fatto di troppo lavoro, lussi esteriori e miserie interiori, lotta per l’inclusione e black humor.
Come nasce Hacks
Lucia Aniello, Paul W. Downs e Jen Statsky iniziano il loro sodalizio autoriale nel 2014, scrivendo per Broad City, serie comica prodotta da Comedy Central. L’anno successivo lavorano assieme alla mezz’ora di Paul all’interno dello sketch show Netflix presents: The Characters. Durante le riprese dello speciale iniziano a discutere su un argomento: le performer del passato che hanno cambiato la storia della loro arte e di cui non si sa nulla, a meno di non imbattersi in un necrologio o un documentario.
Citano Joan Rivers, Phyllis Diller, Susie Essman, Elayne Boosler, Carrie Fisher, Elaine May, Debbie Reynolds, Lucille Ball. Sono comiche, attrici, registe che hanno aperto la strada alle colleghe più giovani in un periodo storico in cui la presenza femminile in posizioni autoriali era decisamente scarsa – e più o meno attivamente osteggiata. Negli anni successivi rifiniscono la storia, discutono sui personaggi, delineano un arco narrativo completo che segue le vicende di Deborah ed Ava in un percorso che definiscono dark mentorship.
Dov’era finita la prima stagione
Deborah esordisce con il nuovo materiale scritto insieme ad Ava durante l’ultima serata del suo spettacolo stabile a Las Vegas. L’esito delude il suo pubblico abituale – quello che per decenni ha riso alle battute sull’esplosione del Challenger e sulle calzamaglie. Ma Deborah difende il potenziale della svolta stilistica nato dalla nuova collaborazione, e raggiunge Ava al funerale del padre con un’idea per ricucire i brandelli del loro rapporto. Le propone un tour in piccoli club di provincia, per affinare il materiale e mettere a punto un personaggio più realistico. Ava accetta e il carrozzone Vance – pacchiano, magniloquente e pretenzioso – si rimette in moto.
Cosa aspettarsi dalla seconda stagione
Se il motore della prima stagione è lo scontro generazionale tra le due protagoniste, la seconda stagione accorcia le distanze del loro vissuto attraverso il grande spauracchio del fallimento. Deborah continua a godere delle credenziali e della ricchezza accumulate in decenni di carriera, ma tornare alla vita on the road la costringe a studiare i gusti di un pubblico che non (la) riconosce più. E che, all’occorrenza, dimostra una scarsissima tolleranza nei confronti dei suoi vizi acquisiti: sessismo, elitismo e competizione sfrenata.
In questo scenario Ava non è più solo la dipendente vessata né la coautrice brillante. È l’insospettabile spalla demotivazionale che sostiene Deborah nella sua reinvenzione comica e l’aiuta a stare lontana dall’abisso del dimenticatoio. Insieme affrontano la difficile genesi di uno spettacolo su cui nessuno scommetterebbe: non nella gerontofobica Hollywood, in ogni caso.
Il fascino indiscreto del resto del cast
La riuscita di Hacks deve tantissimo alla caratterizzazione delle due protagoniste (e alle interpretazioni di Jean Smart e Hannah Heinbinder), ma dove la scrittura della serie ci regala gioie puramente comiche è nei personaggi secondari. A partire dal manager Jimmy (Paul W. Downs) e la sua assistente Kayla (Megan Stalter). Troppo tenero per sopravvivere in un ambiente di lavoro avvelenato dalla bro culture lui, troppo inopportuna – ma illicenziabile in quanto figlia del capo – lei. Continuando con la madre nevrotica di Ava (Jane Adams), in piena regressione adolescenziale dopo la morte del marito; Kiki (Poppy Liu), la croupier personale di Deborah con un’insospettabile attitudine zen; DJ (Kaitlin Olson), la figlia di Deborah che cerca di ricostruire un precario equilibrio esistenziale sulle rovine delle mancanze pedagogiche della madre.
Le new entry della seconda stagione sono altrettanto promettenti: Weed (Laurie Metcalf, Pappa e ciccia, The Big Bang Theory), la tour manager che non dorme mai sdraiata; Barbara (Martha Kelly), l’impiegata delle risorse umane che fa sembrare Toby Flenderson una persona energica; Elaine Carter (Susie Essman, Curb your enthusiasm), la regista dello spettacolo di Deborah che chiede di includere nel contratto caramelle e lassativi.
Quanta stand-up comedy c’è in Hacks?
Non tantissima, e non è fine a sé stessa: spesso sentiamo Deborah ripetere le stesse battute in circostanze e con intonazioni diverse, a testimonianza del lavoro di riscrittura continua del materiale dopo ogni esibizione. Il repertorio si svecchia, abbandona fossili umoristici e trova nuove gemme in un’autorappresentazione moderna, dove c’è anche spazio per la confessione del dolore personale.
Deserti rocciosi, velluti e neon
Visivamente Hacks ci immerge in panorami lussuosi che si estendono a perdita d’occhio – indipendentemente dalla reale estensione dello spazio raffigurato. Che sia la platea di un teatro a Las Vegas o l’interno del tour bus, i personaggi si muovono in uno spazio ampio, spesso bagnato da una luce morbida e diffusa, con dominanti cromatiche oro e blu. La regia di Lucia Aniello non è tanto interessata a sondare l’interiorità delle protagoniste, quanto a mostrarle in relazione dinamica con i luoghi che attraversano – e il cambio di prospettiva è perfettamente in linea con gli intenti narrativi della serie.
In breve
La seconda stagione di Hacks si conferma all’altezza della prima, e ci lascia alle porte della terza (già confermata) con una puntata finale malinconica ma stranamente rinvigorente. Descrive con autenticità la collaborazione tra due donne acute e ambivalenti, senza ingabbiarle in rapporti di forza predeterminati – e anzi mostrandoci come imperfezione e progresso siano parti ineliminabili del processo creativo.
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