Pubblicato in Italia lo scorso 7 marzo, Guarda le luci, amore mio (L’orma editore – traduzione Lorenzo Flabbi), è il libro in cui Annie Ernaux esplora il complesso universo della grande distribuzione. Quando nel 2012 la casa editrice francese Éditions du Seuil chiese a Ernaux un libro per la collana Raccontare la vita, la scrittrice scelse di fare luce attraverso la sua opera alle dinamiche dell’ipermercato, un luogo che, pur non godendo di dignità letteraria, narra molto meglio di altri la nostra società.
“Scrivere è una cosa pubblica”
Annie Ernaux, La vergogna, L’orma editore, Roma 2018, p.80
“Ho l’impressione di scostare dei veli che si moltiplicano senza sosta lungo un corridoio infinito” scrive Annie Ernaux ne L’altra figlia per descrivere con un’immagine il meccanismo che in lei la scrittura innesca. La scrittrice che ha trasformato la sua stessa vita in letteratura, non abbandona neanche in Guarda le luci, amore mio l’approccio analitico, questa volta dando alla diaristica il compito di farsi portavoce delle “impressioni lasciate dalle cose e dalle persone, dalle atmosfere” (Guarda le luci, amore mio, p.19) dell’Auchan da lei frequentato.
Le parole che nei romanzi dell’autrice francese hanno reso collettivi degli eventi da lei vissuti in prima persona qui si assumono un’altra responsabilità: quella di raccontarci attraverso l’osservazione di un luogo ciò che siamo. Eppure il risultato non cambia, l’efficacia della narrazione veicola esperienza e si fa strumento di comprensione della realtà.
Noi, sudditi della grande distribuzione
Durante le sue frequenti visite all’ipermercato Auchan di Cergy, sito all’interno del più grande centro commerciale della Val-d’Oise nella regione dell’Île-de-France, Annie Ernaux si trasforma in un’attenta osservatrice. Le immagini catturate dai suoi occhi alimentano il racconto del potere che la grande distribuzione esercita sulle persone.
Mode, gusti e valori attraversano questo luogo che ha sete di omogeneità. Il modello unico, quello del consumatore, che Pier Paolo Pasolini profetizzò già negli anni ’70 come frutto del boom economico italiano, si manifesta qui ancora più potente. Il nostro potere d’acquisto definisce oggi il nostro valore, è così che degradiamo nella sfera delle cose. Possedere è essere potenti, gli oggetti e il loro desiderio ci governano, non avere ciò che gli altri possono permettersi relega una fetta della popolazione nella rassegnazione sociale. Un senso di impotenza e ingiustizia pervade la Ernaux spettatrice della logica capitalistica che ci sottomette sin dall’infanzia: “Nel mondo dell’ipermercato e dell’economia liberale amare i bambini significa comprar loro più cose possibili” (Guarda le luci, amore mio, p. 38).
Anche l’introduzione delle casse automatiche e del self-scanning, macchine più intelligenti degli uomini, preannuncia un ulteriore processo di disumanizzazione che concretizzandosi nella scomparsa dei lavoratori del settore farà trionfare ancora una volta il dio oggetto. Dal bar-drogheria-emporio gestito in passato dai genitori di Annie Ernaux si è passati all’ipermercato e oggi l’e-commerce si sta prepotentemente imponendo nel mercato occidentale fagocitando le attività dei piccoli commercianti.
Anche l’ipermercato ha una retorica
Nel libro La vergogna Annie Ernaux riflette molto su come il linguaggio usato nei vari quartieri di Yvetot, sua terra natia, si faccia espressione della gerarchia sociale. In Guarda le luci, amore mio, al contrario, la scrittrice evidenza come le parole utilizzate da Auchan mutino in relazione agli interlocutori ai quali si rivolgono.
Il linguaggio seduttivo e ammaliante presente in reparti come quello della parafarmacia diventa intimidatorio nell’ala discount dell’ipermercato dove cartelli scritti a caratteri cubitali vietano la consumazione dei prodotti ai suoi frequentatori. Il linguaggio si palesa anche nel divieto di leggere nel reparto libreria e, muto, negli oggetti che scorrendo verso la cassa rivelano chi siamo (single, madri, vegetariani, ricchi etc.) a coloro che condividono con noi la coda.
Il capitalismo uccide il tempo e la memoria
Nella ciclica monotonia delle ricorrenze, la storia sembra non esistere insieme al tempo e alla memoria. Nella vita dell’ipermercato Halloween, Natale, la Festa della Mamma e i saldi estivi scandiscono le fasi di un presente assoluto che, rispolverando merci e slogan abbaglianti, inneggia al consumismo. La frenesia della spesa e la logica dell’accumulo diventa nevrosi collettiva che non lascia più alcuno spazio all’umano. Ma una flebile speranza forse c’è, ed è rappresentata da quelli che tentano ancora, tra uno scaffale e l’altro, di comunicare agli altri un qualsiasi pensiero, forse per esorcizzare quel senso di solitudine che come una vertigine coglie in mezzo agli altri.
“Siamo una comunità di desideri, non di azione”
Annie Ernaux, Guarda le luci, amore mio, L’orma editore, Roma 2022, p. 100
Parlando del monopolio della famiglia Mulliez, proprietaria non solo di Auchan ma anche di Leroy Merlin, Decathlon, Flunch, Jules e di tante altre aziende, Annie Ernaux si domanda se questa consapevolezza abbia in qualche modo potuto interferire nel suo modo di vivere l’ipermercato. Tutto sommato crede di no: pensare a questi colossi come a degli esseri mitici allontana ogni tipo di risentimento.
Questo stesso distacco s’impossessa della maggior parte delle persone anche davanti a notizie come quelle che Ernaux riporta in diversi punti del suo diario e che descrivono l’altra faccia del capitalismo, quella che sfrutta la manodopera a basso costo nei Paesi più poveri del mondo. In Bangladesh le fabbriche tessili bruciano o crollano mietendo vittime poi ritrovate nelle macerie insieme alle etichette Carrefour, Camaïeu e Auchan. Ma per la scrittrice l’unica speranza per i popoli sottomessi è la loro autodeterminazione; i francesi danneggiati dalla delocalizzazione delle fabbriche tessili sono felici di comprare una T-shirt a soli 7 euro da H&M.
Donne, è arrivato l’arrotino
Leggendo Guarda le luci, amore mio ci si addentra nel cuore del sistema ipermercato ritrovando in esso le regole e i cliché che governano la nostra collettività. Spiderman, macchine, robot e sacchi da boxe attendono i bambini al reparto giocattoli, al contrario, alle bambine spettano accessori per la cucina, bambole ed elettrodomestici in miniatura. Nel reparto cartoleria i diari per la scuola contengono messaggi diversi, ai bambini Topolino chiede se ha fatto i compiti, alle bambine Minnie le dice di essere la numero uno.
Tutto è dunque stabilito, chi dovrà occuparsi della casa e dei figli e chi, invece, porterà avanti la famiglia grazie al suo lavoro. Del resto, l’immagine di una donna davanti ai fornelli che fa capolino da un libro di cucina nel reparto libreria sembra essere la realizzazione di questa profezia. “Gli uomini diventano troppo ridicoli quando sono dietro il carrello della spesa, fuori luogo” (La donna gelata, L’orma editore, Roma 2021, p.179), scriveva Ernaux, già nel 1981, e forse è proprio questa la ragione per cui il marketing del supermercato si indirizza soprattutto alle donne.
La disparità di genere perpetrata in tutti gli ambiti, dalla vita coniugale a quella lavorativa, pervade i ripiani delle merci e trabocca dai messaggi pubblicitari. La dinamica capitalistica dell’ipermercato contagia la sfera femminile come una malattia, il corpo della donna è parte integrante del dispositivo sociale che lo considera un oggetto in mostra. Questo processo di mercificazione della donna è portato all’esasperazione in un’opera di Margaret Atwood, La donna da mangiare (1976), romanzo in cui il supermercato acquisisce peraltro la dignità letteraria rivendicata da Annie Ernaux in Guarda le luci, amore mio.
La geopolitica del marketing
Oltre alla strategia pubblicitaria che riconosce come target principale quello femminile, vi è anche il marketing che immerge le radici nell’ipocrisia liberale, quello etnico. Così, rispondere ai bisogni di chi è coinvolto nel ramadam non rivela una spiccata sensibilità della grande distribuzione alle differenze culturali ma piuttosto la nascita di nuovi interessi economici.
L’ipermercato osservando la clientela comprende le sue abitudini e tratteggiando le traiettorie delle nuove migrazioni estende il suo raggio di azione.
Nel tempio dei consumi ci sono anche le nostre vite
Tra le pagine del libro, Annie Ernaux ricorda di essere stata spettatrice di un episodio che in qualche modo si collega alla sua storia personale. In un Carrefour una ragazza sola, arrossata dall’agitazione, viene derisa da due, tre coetanei, mentre uno di questi le dice di non essere il padre. Siamo agli inizi degli anni ’70, l’interruzione di gravidanza è ancora illegale e in un asfittico ipermercato si consuma una tragedia, la stessa vissuta e magistralmente raccontata dalla scrittrice francese nel libro L’evento, da cui di recente è stato tratto il film La scelta di Anne – L’événement (qui la recensione), premiato all’ultimo Festival di Venezia. Nei grandi magazzini si svolgono, dunque, anche le nostre vite, ed è per questo che l’autrice si interroga sulle ragioni della loro assenza nei romanzi.
Durante gli anni universitari ebbi la fortuna di imbattermi in una raccolta di saggi intitolata Luoghi della letteratura italiana (a cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi). Leggendola, mi addentrai in foreste, piazze, alcove, cinema, castelli e in tanti altri spazi in cui la letteratura ha trovato asilo nel tempo. Chissà se in futuro, in un’edizione aggiornata di questo libro così prezioso, potrebbe essere inserito tra i posti in cui la letteratura si colloca anche l’ipermercato.
Grazie a L’Orma Editore, qui il link per avere maggiori informazioni.
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