Giurato Numero 2 (Juror #2) lascia lo spettatore con una sensazione di riflessione amara, ma non per la profondità del film, quanto per un senso di disconnessione che aleggia durante tutta la visione.
Clint Eastwood, regista di lungo corso e da sempre apprezzato per il suo sguardo incisivo, e a tratti cinico sull’umanità, ha regalato nel tempo pellicole indimenticabili, capaci di indagare senza pietà le ombre dell’animo umano. Tuttavia, in Giurato Numero 2, questa intensità sembra affievolirsi, come se mancassero quegli elementi che da sempre caratterizzano il suo stile, rendendolo unico.
Il film sembra voler replicare la formula che Eastwood ha padroneggiato negli anni, ma il risultato finale lascia l’impressione di un’opera incompiuta, quasi scollegata. La costruzione narrativa e la direzione attenta alle sfumature psicologiche ci sono, ma non riescono a emergere con la consueta incisività. Forse è solo una mancanza di quel “qualcosa” che ci si aspetta da un autore di questo calibro – un difetto che rende il nuovo film del regista meno memorabile rispetto ai suoi lavori migliori.
Una trama che ha del potenziale
La trama è interessante, almeno nelle premesse. Un uomo comune, chiamato a fare il giurato, si accorge di avere (forse) una responsabilità diretta nell’omicidio che si sta giudicando. L’idea di un conflitto interiore così devastante dovrebbe essere il motore di una tensione che si intensifica scena dopo scena. Eppure, mentre il film si svolge , ci si ritrova più volte a chiedersi dove fosse finita quell’urgenza morale, quella ferocia tipica di Eastwood.
La potenzialità drammatica di questo conflitto, il dover affrontare un peso morale insopportabile e il bisogno di mantenere la propria integrità, sono componenti che avrebbero potuto trasformarsi in dinamiche tormentate e avvincenti. Ci si aspetterebbe che il protagonista venga spinto sempre più verso il limite, scontrandosi con una sofferenza psicologica che cresce e si ramifica in ogni suo gesto, in ogni sguardo o silenzio.
Invece, nonostante la premessa sembri promettere una discesa profonda nelle complessità della coscienza e del senso di colpa, il film non riesce mai a raggiungere un’intensità tale da mantenere lo spettatore incollato allo schermo, in una sorta di tensione che si rinnova ad ogni scena. Le aspettative di un viaggio nell’abisso morale vengono disattese, e quella spinta narrativa verso un confronto implacabile con la propria colpa sembra perdere forza man mano che la storia procede. Di conseguenza, si avverte una certa distanza emotiva, come se il dramma interiore fosse attenuato anziché esasperato, lasciando nello spettatore il desiderio di una maggiore crudezza e di una narrazione che realmente scavi senza paura nelle pieghe più oscure dell’animo umano.
Un conflitto morale potente solo sulla carta
Il problema principale è che Giurato Numero 2 è eccessivamente retorico. Eastwood non si limita a mettere in scena il dramma morale del protagonista; sembra quasi volerlo spiegare allo spettatore a ogni passo, fino a togliere qualsiasi spazio per l’ambiguità o l’interpretazione personale. È come se il film ci prendesse per mano, insistendo perché vediamo esattamente il conflitto, senza mai lasciarci semplicemente sentire la sua portata.
Questa tendenza alla spiegazione finisce per impoverire la narrazione, rendendo il messaggio del film eccessivamente diretto e, in un certo senso, didascalico. Invece di suggerire o lasciare allo spettatore la libertà di interrogarsi sui dilemmi e le contraddizioni che attanagliano il protagonista, il film ci guida quasi con insistenza, riducendo la complessità a un percorso prestabilito. Così facendo, rischia di privare chi guarda della possibilità di immergersi più intimamente nel dramma, esplorandone i significati in modo autonomo.
In questo modo si perde una certa sottigliezza, quella qualità implicita che spesso caratterizza i grandi racconti morali, dove non tutto viene spiegato e dove l’ambiguità lascia spazio a un senso di immedesimazione e riflessione più personale.
Nicholas Hoult e Toni Collette, va detto, sono bravissimi e fanno tutto il possibile per restituire intensità ai loro personaggi. Hoult, in particolare, ha un ruolo complesso: un uomo intrappolato nel proprio senso di colpa e diviso tra l’istinto di sopravvivenza e un bisogno quasi disperato di redenzione. Ma anche la sua performance risulta appesantita da una sceneggiatura che sembra ripetere ossessivamente i suoi dilemmi. Collette è splendida e incisiva, ma appare a tratti ingabbiata in un personaggio che manca di vera profondità.
Un’occasione mancata
Giurato Numero 2 sembra un’opera che procede in modo meccanico, rispettando tutti i passi di un copione ben scritto ma troppo controllato. Eastwood ci mostra il percorso morale del protagonista senza quella crudezza e quell’autenticità che hanno caratterizzato i suoi film più riusciti.
Il risultato? Un film che, per certi versi, si è rivelato estenuante più che coinvolgente. Un’occasione mancata per un grande regista che, in questo caso, sembra non essere riuscito a connettersi fino in fondo con la materia della sua storia.