“La femminilità è potere” afferma una ragazza di fronte centinaia di partecipanti al Girls State nella prima sequenza dell’omonimo documentario su Apple TV+. È un potere che tuttavia va reclamato, oltre che riconosciuto, anche e soprattutto in politica, anche perché “ci sono ragazze che già a 17 anni hanno interiorizzato il divieto di parlare di politica con i propri amici, con i propri genitori, con i propri pari e non solo”, come afferma una delle protagoniste del programma accademico e del film, Cecilia Bartin.
Iniziative come Girls State testimoniano invece il bisogno di un confronto vero ma costruttivo, non polarizzato, sui temi più urgenti della società, statunitense in questo caso. Un confronto che sono prima di tutte le ragazze più giovani a chiedere, indipendentemente dal colore politico e dalla loro ideologia.
Ecco perché Girls State va guardato – o riguardato – dopo queste elezioni presidenziali negli Stati Uniti.
Cos’è Girls State
Dagli anni Trenta negli Stati Uniti esiste un programma che permette a centinaia di studenti – e poi anche studentesse – di poter costruire da zero le istituzioni del proprio Paese, giocando a governare. Sostenuto dall’American Legion, è un programma di una settimana all’interno dei college statunitensi, ma ospita ragazzi e ragazze della scuola superiore, suddivisi per genere in ciascuno dei 50 Stati (tranne le Hawaii).
Nascono così Boys State e Girls State, che sono anche i titoli dei due documentari che Amanda McBaine e Jesse Moss realizzano per Apple, rispettivamente in Texas nel 2020 e in Missouri nel 2022. Girls State, tuttavia, arriva sulla piattaforma Apple TV+ (anche in Italia) solo ad aprile 2024 dopo l’anteprima al Sundance a gennaio.
Durante la settimana tutte le partecipanti sono chiamate a dividersi in partiti, presentare eventuali candidature (la più alta possibile è quella di Governatrice) e formare tre rami del governo e la Corte Suprema. Tutte sono chiamate inoltre a eleggere la Governatrice dopo una settimana di campagna elettorale.
Cos’è il film su Girls State
Seguendo un principio fondamentale del cinema documentario, McBaine e Moss scelgono delle singole storie per orientarsi all’interno del fenomeno che raccontano. Si focalizzano in particolare su Emily Worthmore, bianca, conservatrice e cristiana che però porta avanti visioni bipartisan, aprendosi al dialogo; Nisha Murali brillante studentessa di origine indiana, molto timida, che si impegna a uscire fuori dal guscio e si propone come giudice della Corte Suprema di visione progressista; infine Tochi Ihekona, progressista e democratica (nel Girls State è il partito Nazionalista blu), di origine nigeriana. Ottiene la nomina ad Attourney General (procuratore generale).
Attorno a loro ricorrono spesso gli interventi di Faith Glasgow, ragazza bianca e conservatrice che si autodefinisce un’ex alt-right di estrema destra per “colpa” della famiglia, ma le cui posizioni su ambiente e diritti civili sono molto più vicine alle sinistra progressista; la già citata Cecilia Barton, che fa dell’esperienza al Girls State un manifesto femminista senza mai esprimere una tendenza politica; Brooke Taylor che come Nisha si propone per la Corte Suprema e che proviene da una minuscola cittadina da lei definita bigotta, da cui vuole distinguersi; infine Maddie Rowan, esponente della comunità queer nel documentario ma anche l’unica ragazza che lega davvero con Emily, pur non essendo sempre d’accordo con le sue idee.
La scelta di queste sette storie diversissime tra loro ma proposte insieme, una accanto all’altra e mai una contro l’altra, dimostra come il dibattito politico negli Stati Uniti sia molto più complesso del bipolarismo attuale. Esistono cioè delle questioni trasversali che vanno oltre il rosso o il blu, il partito repubblicano o quello democratico. E non a caso sono le questioni femminili, le stesse che hanno avuto il peso maggiore nella campagna elettorale di Kamala Harris, a partire dal diritto all’aborto.
Non bisogna dimenticare, infatti, che le riprese di Girls State sono terminate solo una settimana prima che la Corte Suprema rovesciasse completamente la sentenza Roe vs Wade impedendo di fatto l’esercizio del diritto all’aborto a livello nazionale (e rimandando la decisione ai singoli Stati).
Boys State vs Girls State: un confronto impossibile
La questione di genere è anche ciò che emerge in modo quasi inaspettato nel documentario. Quasi perché soprattutto per le centinaia di ragazze coinvolte in prima persona è normale paragonare i due programmi e notare che solo le ragazze hanno un dress code o solo le ragazze non possono mai aggirarsi per il campus da sole. Solo le ragazze devono imparare una canzoncina, con annessa coreografia, ma non hanno l’onore di accogliere il vero governatore del Missouri alla cerimonia di giuramento finale, come i ragazzi. E hanno – soprattutto! – circa un terzo del budget del programma maschile ogni anno.
Forse è proprio questo è l’aspetto più banale e allo stesso tempo più snervante di tutta la storia, perché frutto di un’ipocrisia ancora inscalfibile: il pensiero che la politica degli uomini e quella delle donne siano “incompatibili a qualsiasi paragone”. Forse il messaggio più grande che lascia il documentario Girls State allora è quello di imparare a notare certe cose e non stare più zitte. Un po’ come fa Emily Worthmore scrivendo un articolo di denuncia in proposito, anche se è l’ultimo giorno di campus, anche se può perdere la borsa di studio. Non scriverlo significherebbe non aver imparato nulla dal Girls State.
Perché è giusto vedere la politica femminile come una rete di solidarietà: di donne che “raddrizzano la corona sulla testa delle altre, invece di puntualizzare solamente che è storta”, come dice uno degli slogan del campus. È fondamentale, tuttavia, prima di tutto arrivarci a quella corona, sapendo che non sarà mai alle stesse condizioni e con la stessa facilità, in un mondo fatto per gli uomini.