Franco Maresco. Pesaro Film Festival 2024
Franco Maresco. Pesaro Film Festival 2024. Foto di Claudia Uzzo

Una monografia dedicata alle sue opere, una mostra di video-installazioni, una retrospettiva di film: questo il programma dedicato al regista, sceneggiatore e montatore Franco Maresco all’interno della 60esima edizione della Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, parte di uno degli eventi speciali sul cinema italiano.

“Sono nottambulo e per essere a questo appuntamento non ho dormito”, così avverte il pubblico e i moderatori della tavola rotonda a lui dedicata la mattina del 21 giugno al Cinema Astra di Pesaro, eppure la lucidità sferzante del suo intervento è come un respiro nuovo, intriso di disillusa consapevolezza e irritante sincerità (a seconda dei punti di vista). Dissacrante nei confronti di un’industria che gli rende impossibile continuare a creare, estremo nei confronti della vita, in cui si inserisce come stanco, depresso, ossessivo compulsivo, eppure maestro nel volgere il peggio mostrandone il lato più comico, anche quando parla di suicidio.

Non esistono parole che non si possono dire, o personaggi che non si possono decostruire; tutto è detestabile e malleabile per Franco Maresco, che ha, da sempre, la capacità di sganciarsi dalle supremazie della visione, dai meccanismi (corrotti o meno) del mondo del cinema, e dal concetto di sacralità, che ha continuamente frantumato con feroce ironia.

Così al PesaroFF60 parla per oltre un’ora, esaltando un pubblico di critici, studenti e appassionati, presenti solo per appagare un bisogno di verità senza mezzi termini, per assorbire quell’oscuro candore, per ricordarsi che ci sono registi come Franco Maresco, non riconciliato, libero. “Io provo orrore per quello che voi celebrate in questo festival, personalmente il cinema non mi da più niente da un sacco di tempo“, afferma Maresco, aggiungendo “Il cinema è morto“, eppure a chi ha avuto la possibilità di ascoltarlo oggi è sembrato tutto il contrario.

Ad malora!

Si definisce un timido a cui non piace stare al centro dell’attenzione, ma nonostante quella che chiama ruvidezza, è profonda la gratitudine che esterna per chi ha realizzato il libro a lui dedicato, Ad malora! Opere, cinema e film di Franco Maresco, soprattutto per il curatore e amico Fulvio Baglivi, critico cinematografico nonché uno degli autori di Fuori Orario di Rai 3. La monografia, edita da Marsilio e dedicata ad Adriano Aprà, è una raccolta di saggi, interviste e testimonianze, ma anche di interpretazioni e visioni sull’opera di un regista geniale, spietato, costantemente discusso e spesso censurato.

Prima l’esperienza con Daniele Ciprì (durata vent’anni e finita nel 2007), poi il proseguimento, da solista, di un racconto decadente che non riesce ad abbandonare, proprio di un’umanità grottesca e disimpegnata, che Maresco rende protagonista di narrazioni poetiche, crudeli, istantanee.

Nel progetto del libro messo insieme da Baglivi ci sono tutti i film di Franco Maresco da solo, senza Daniele Ciprì, e una sola opera, scelta in accordo con il regista, firmata Ciprì e Maresco, che è Enzodomani a Palermo (1999); selezionato in accordo tra autore e curatore, poiché imprescindibile nell’ottica di una rappresentazione unica della mafia.

Rivelare il mostro: la mafia nelle opere di Maresco

Si è svuotato il lago di Lockness e il mostro è venuto fuori, ed è stato deludente vedere il vero aspetto del mostro

Franco Maresco

A proposito dell’approccio che Maresco ha portato avanti negli anni riguardo la mafia e la sua rappresentazione attraverso il cinema, e in particolare di film come Belluscone e La mafia non è più quella di una volta, li considera definitivi, e lo fa senza essere presuntuoso o in preda a pretese megalomani; questo perché il suo lavoro sulla mafia parte da una profonda conoscenza.

Da palermitano, Maresco è cresciuto in un periodo in cui la mafia si respirava, e con la quale si aveva un’interazione quotidiana, e riprendendo le parole di Falcone, in un’intervista televisiva prima che morisse, condivide che la mafia non fosse solo un fenomeno criminale, ma qualcosa che si portava dietro un mondo culturale, una forma mentis secolare, una serie di codici di gestualità. “Erano periodi in cui si dicevano tante scemenze sulla mafia, tante interpretazioni sociologiche inutili“, dice il regista, la mafia veniva raccontata in televisione dalle inchieste e al cinema da Damiano Damiani, da Rosi, Petri e pochi altri.

Iniziarono poi le serie televisive come La Piovra, con da una parte la mafia e dall’altra la visione piuttosto convenzionale della Sicilia. Prima che arrivassimo io e Ciprì il problema del cinema e della TV riguardo al racconto della mafia era una sorta di metafisizzazione della mafia (citando Fofi); basta pensare a film come Todo Modo, ma anche Cadaveri Eccellenti di Rosi: portano una mitizzazione della mafia, che era vista come qualcosa di distante. La mafia era un mistero, ma quando la tecnologia permise, ad esempio, di avere le microspie, tutto cambiò, ci fu la possibilità di vedere cosa e chi sono i mafiosi nelle loro villette.

Franco Maresco

Per questo, prima il progetto che Maresco e Ciprì hanno portato avanti insieme, poi il proseguimento da solo, è stato qualcosa di unico rispetto a ciò che c’era precedentemente, qualcosa che di lì a poco sarebbe diventato impossibile per la trasformazione dei mezzi, delle tecnologie. Un momento fondamentale nella Storia del cinema italiano.

Io e Ciprì abbiamo portato con il nostro lavoro, con Cinico TV, una lettura inedita, della Sicilia, di Palermo, con una componente umoristica presente nelle immagini, nei corpi, negli attori; un lavoro pungente, di critica spietata, nei confronti dei modi e delle formule con cui veniva raccontata la mafia nei film, prendevamo in giro quella visione così piena di cliché.

Franco Maresco

Il comico è la morte

Come con i suoi film, Maresco continua ad essere divisivo anche nelle parole, e non si risparmia per nessuno, soprattutto per chi si definisce comico e non lo fa ridere per niente. Emblema di un umorismo senza mezzi termini, costantemente affiliato al senso di morte e alla cupezza dell’esistenza, i suoi riferimenti alla comicità nel mondo del cinema sono Tati, Keaton, mentre i comici e le comiche di adesso gli ricordano i compagni di scuola brillanti che in gita facevano le imitazioni sul pullman, e che ora si sono semplicemente spostati di fronte a una telecamera. Il vero comico per Maresco deve essere solo contro tutti, avere una visione anarchica, dinamitarda, “e oggi questo non è possibile“.

Citando il drammaturgo Franco Scaldati, il regista riprende il concetto di comico come funereo, comico come morte: e non si trattiene nel definire quello che rimane un villaggio turistico imperante, in cui non c’è posto per la comicità che gli interessa, quella in cui crede come mezzo per contrastare il potere.

Sulla scia di una profonda nostalgia di quello che prima significava prendere una posizione, nel cinema, nella letteratura, Maresco ricorda Aprà e lo rimpiange, considerando la scena culturale attuale come una melassa generale in cui quando c’è qualche polemica a farne le spese è sempre qualche disperato, qualche soccombente. In un mondo dove il pubblico si assolve sempre, ed è cialtrone e pigro, codardo, e non prende posizione, è finita politicamente, non c’è un autonomia di pensiero.

Che sia un’ispirazione o un presagio devastante, fatto sta che Franco Maresco ha avuto di nuovo modo di scuotere chi ha seguito con attenzione i suoi ragionamenti, come ha sempre fatto.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.