È un giorno di pioggia a Roma quello in cui incontriamo Gints Zilbalodis, regista del film di animazione Flow (qui la recensione). Timido o forse intimidito dall’attenzione che il suo film ha generato fin dal debutto a Cannes, in realtà ha molto da raccontare in poco più di mezz’ora, su come e perché è nato il suo sorprendente lavoro.
Di seguito riportiamo quindi la nostra conversazione, avvenuta lo scorso 23 ottobre ad Alice nella città (sezione parallela della Festa del cinema di Roma) durante un ristretto incontro con la stampa.
La regia e l’animazione in Flow
A dare inizio al dialogo con Gints Zilbalodis è proprio la domanda di FRAMED Magazine sull’uso delle tecniche di animazione e regia. “La mia intenzione è stata quella di creare innanzitutto un’esperienza immersiva. Volevo che il pubblico si sentisse come il gatto protagonista del film”, afferma il regista. “Ho usato perciò le inquadrature e la macchina da presa come strumento narrativo, anche perché non c’è dialogo. Non volevo pormi a distanza come narratore né che il pubblico si sentisse un semplice osservatore, ma che fosse lì e seguisse la storia da dentro”.
“Anche per questo ci sono delle riprese lunghissime, degli sfondi che a volte durano appunto più di cinque minuti e su cui abbiamo poi lavorato al montaggio. La mia intenzione è sempre stata quella di non fare un film troppo realistico, ma naturalistico. Per questo, per esempio, gli animali protagonisti hanno un tratto più stilizzato (rispetto ai ricchissimi sfondi, ndr) perché ritengo che l’animazione quando è iperrealistica, quando diventa troppo simile alla realtà, rischia di diventare fredda. Stilizzandola, riducendo i dettagli, volevamo renderla più attraente per il pubblico che così può metterci del suo, la sua sensibilità o magari l’immagine mentale del suo stesso gatto protagonista”.
L’importanza del suono in Flow
Ci tiene, inoltre, Zilbalodis a sottolineare che il suo è un film senza dialoghi ma non è un film muto. I suoni sono parte integrante del suo significato, così come anche la musica, composta dal regista stesso.
“Scrivo la musica insieme alla sceneggiatura. Mi ispira, mi dà nuove idee non solo sull’atmosfera ma anche sullo sviluppo della storia”, afferma. “Spesso scrivo più musica di quella che mi serve, così al montaggio mi ritrovo con un’ampia scelta. E mi piace perché fare musica è molto diverso dal fare un film d’animazione, è una gratificazione più immediata, non sono tuttavia un compositore professionista, quindi alla fine per Flow mi sono rivolto a Rihards Zalupe. È stata un’esperienza totalmente diversa ascoltare le musiche che avevo realizzato sul mio computer riarrangiate per un’orchestra e 32 archi!”
“La musica nei film d’animazione – prosegue – spesso cambia rapidamente. Ti dice esattamente cosa sentire e come sentirlo in ogni momento. Io invece ho voluto lasciare alla musica il tempo si svilupparsi, anche per rendere l’emozione più intensa e meno meccanica”.
Il legame tra Flow e il cambiamento climatico
Arrivando ai temi di Flow, il cambiamento climatico sembra essere al centro della trama, così come la scelta degli animali protagonisti. Anche se non necessariamente in quest’ordine, sostiene il regista.
“Tutto inizia dal gatto. Inizio sempre dai personaggi principali e ho capito che volevo raccontare la storia di un gatto terrorizzato dall’acqua che trova il modo di superare la sua paura. Una storia potenzialmente universale, anche senza dialoghi”, prosegue Gints Zilbalodis. “Non ho voluto inserire personaggi cattivi o antagonisti diretti, nemmeno l’acqua lo è, nonostante possa sembrarlo all’inizio. In realtà rispecchia a tutti gli effetti le emozioni del gatto anche nei confronti degli altri animali: è calma quando è calmo, si agita quando il gatto si agita”.
Il cambiamento climatico è diventato un tema solo in un secondo momento, dunque: “Penso che poi diventi un tema organico e non forzato man mano che la storia prosegue. Ho pensato che fosse un argomento capace di attrarre un grande pubblico, ma se questo fosse solo un film su un disastro naturale, nessuno vorrebbe guardarlo. Penso che Flow invece sia un’avventura, prima di tutto.
Cosa e chi racconta Flow
Che tipo di luogo racconta dunque Flow? E quale tempo? Sembra ambientato in un paesaggio esotico, non europeo e non del tutto realistico, in cui animali di diverso tipo si incontrano per salvarsi insieme.
“Flow è il primo lavoro che realizzo all’interno di un team”, afferma il regista. “In precedenza ho disegnato, animato e montato tutto da solo, questa volta l’ho fatto con una squadra ed è stata un’esperienza totalmente nuova per me. Ho pensato che il gatto sarebbe stato un ottimo protagonista per raccontare un’esperienza simile a quella che stavo vivendo. I gatti sono indipendenti, vogliono fare le cose a modo loro. Mi ci sono rivisto molto. Inoltre sono molto espressivi e sono talmente teneri che gli si perdona tutto, anche un po’ di cattiveria. Penso anche, infine, che la realtà vista attraverso gli occhi del gatto sia più emozionante: è tutto più grande, più spettacolare, più drammatico anche in questo mondo in cui volutamente non si riconosce un’epoca storica o un luogo in particolare, anche se ho nascosto qualche riferimento qua e là”.
Essendo Flow un film indipendente, dal budget abbastanza ridotto, sorprende anche il modo in cui Gints Zilbalodis e il suo team siano riusciti a usare la regia e i movimenti di macchina per focalizzare l’attenzione solo sull’azione e per distogliere lo sguardo dai dettagli che – per mancanza di denaro – è stato impossibile rifinire ulteriormente: “Abbiamo aggiunto dettagli solo dove necessario. In parte siamo stati costretti dalle ristrettezze economiche, ma in parte ho voluto che ci fossero delle piccole imperfezioni, per dare l’idea che sia stato tutto fatto a mano, per renderlo più morbido e meno freddo proprio perché non siamo nel mondo reale, ma in un mondo che è frutto della mia fantasia”.
Flow è distribuito in Italia da Teodora Film: dal 7 novembre al cinema.