Manca poco alla conclusione di un anno che ha visto una rinascita delle sale cinematografiche, senza momenti di pausa, d’estate e d’inverno colme di spettatori come una nuova promessa per le uscite future e per una ripartenza, questa volta effettiva, del cinema. I film del 2023 tra cui scegliere i “nostri” migliori sono tantissimi (e ancora qualche sorpresina ci/vi aspetta per le ultime settimane di dicembre), ma abbiamo fatto del nostro meglio per darvi un quadro di ciò che ci ha emozionato, fatto riflettere, sconvolto, lasciato che qualcosa in noi cambiasse direzione, un potere di cui solo il grande cinema dispone.
Barbie di Greta Gerwig e La Chimera di Alice Rohrwacher – Ex aequo
Barbie di Greta Gerwig
Già immagino gli occhi rivolti al cielo di chi ha appena iniziato a leggere questa selezione e si ritrova Barbie di Greta Gerwig come primo film: è una sensazione che mi fa sorridere da mesi, questo perché la superficialità con cui è stato percepito da molte e molti il film con Margot Robbie è la stessa che la regista intende frantumare con il suo racconto. La ricchezza di Barbie va oltre un paio di didascalismi e il marchio Mattel, è un messaggio che torna, si rigenera, arriva alle nuove generazioni come una “bomba” di glitter rosa e consapevolezza femminista. Gli incassi poi sono la ciliegina sulla torta glassata pastello della carriera di Gerwig, che ha portato la sé stessa più giocosa e sensibile nella narrazione di Barbie Land e del patriarcato di pellicce bianche kitsch compensative ed emozioni inespresse.
La Chimera di Alice Rohrwacher
Il mondo dei vivi e il mondo dei morti, paralleli uno sopra l’altro, si capovolgono, nelle “chimere” di Arthur, il protagonista del nuovo film di Alice Rohrwacher, che come un canto popolare, una poesia pronunciata di bocca in bocca e in continua evoluzione, arriva e abbraccia spettatori e spettatrici, nella magia, spesso sottovalutata, della limpidezza di un racconto. Tale racconto trova i suoi riferimenti del tessuto umano, nella storia classica, nella smania di conquista, che trasforma in bestie, che cambia i rapporti. La Chimera è un film sull’umano e sul sovrannaturale, che si appartengono come spigoli della stessa complicata esistenza. Si muove libero da schemi e sceglie di volta in volta il suo ritmo, trasportando in un passato vicinissimo, mostrando territori inesplorati, depredati, sottoterra, che a loro volta contengono storie e memoria. Da guardare e riguardare.
Saltburn di Emerald Fennell
Non voglio vincere facile e farò finta di non dire che il miglior film del 2023 (e non solo) è uno soltanto, quello di Martin Scorsese. In realtà l’ho già fatto e ho già speso qui circa mille parole appena fuori dalla sala a Cannes, lo scorso maggio. Azzardo quindi con l’opera seconda di Emerald Fennell, perché è perfida e divertente, esteticamente appagante e al tempo stesso disturbante. Perché Jacob Elordi che fa l’angelo è straordinario ma Barry Keoghan che fa il demone rasenta la perfezione. E perché non riuscirò mai più ad ascoltare Murder on the Dance Floor senza pensare all’incredibile sequenza finale del film, che aggiunge ulteriore senso alla già arguta criticale sociale di Fennell, rivelando che si tratta di una tela di ragno, nascosta fino all’ultimo ma letale dalla prima scena. È l’unico film negli ultimi anni per cui ho sentito sussultare più di una volta il pubblico in sala: per sorpresa, per disgusto, per pudore o incredulità. Ha il potere di suscitare forti reazioni e di invadere la mente con le sue immagini, peccato che in Italia non ha potuto farlo al cinema (è solo in streaming su Prime Video).
The Old Oak di Ken Loach
In questi giorni di tristezza e disperazione un film come questo può ricordarci cosa ci serve nel 2023: la solidarietà. Perché Ken Loach non ha fatto un film buonista sulla speranza, ma un profondo elogio della fratellanza umana tra i popoli. All’insegna della comunità riunita e non più divisa, capace di stringersi nella gioia e nella disperazione, di confortarsi e confrontarsi, senza vecchi rancori e metri per misurare le diversità tra le condizioni. Ken Loach, materialista e operaio legato al popolo (e non beninteso al cinema “popolare”) ha scritto e consegnato a tutti il noi il suo testamento spirituale: ci ha regalato un film-saggio su come si costruisce la pace. Se non è esteticamente il film più bello del 2023 è certamente uno dei più utili per questo secolo.
Oppenheimer di Christopher Nolan
Con gli eventi dell’ultimo anno e mezzo non si può non menzionare un film come Oppenheimer. La paura del nucleare, delle guerre e delle continue minacce all’umanità, sono state restituite sul grande schermo da Christopher Nolan, tornando indietro nel tempo e ripercorrendo la storia del fisico, padre della bomba atomica, Robert Oppenheimer. Il regista di Inception e The Prestige questa volta dona al pubblico una delle esperienze visive e sonore più straordinarie degli ultimi anni, rivolgendo impavidamente al pubblico svariati dilemmi struggenti, attuali e che richiedono suprema onestà morale. Chi è il vero carnefice? Chi è il vero distruttore dei mondi? Si considera “morte”, chi crea la bomba o chi la sgancia? Il fine giustifica il mezzo? Quanto può essere devastante un ordigno, se riposto scientemente nelle mani del potere? Di una cosa sono certa, che Nolan questa volta ha diretto un film che profuma di Oscar.
Babylon di Damien Chazelle e Hunger Games : La Ballata dell’Usignolo e del Serpente di Francis Lawrence
Babylon di Damien Chazelle
Arrivato nelle nostre sale all’inizio dell’anno e, ingiustamente, passato in sordina, Babylon è l’apoteosi della carriera di Damien Chazelle che torna dietro la macchina da presa dopo First Man. La sacralità di Hollywood viene messa in discussione da ogni singolo fotogramma del lungometraggio, distrutta e ricostruita secondo uno schema dominato da eccessi, follia e piaceri che compongono il ritratto dell’industria cinematografica hollywoodiana degli anni ’20. La Babilonia di Chazelle funge da terra promessa per i suoi protagonisti che, solo davanti agli occhi indiscreti di una cinepresa, riescono a sentirsi vivi. Un lungometraggio che trova il suo significato nella sequenza finale, negli occhi chiusi di Manny mentre le immagini bucano lo schermo dove il colore e il sonoro si riappropriano di una loro dimensione. Babylon è lo scrigno dei sogni e delle speranze della settima arte.
Hunger Games : La Ballata dell’Usignolo e del Serpente di Francis Lawrence
Il 2023 è stato l’anno del ritorno sul grande schermo della saga di Hunger Games, saga distopica cult simbolo degli anni ’10 del 2000. Diretto di nuovo da Francis Lawrence, La Ballata dell’Usignolo e del Serpente è il prequel che tutti i fan della saga aspettavano, speravano e bramavano di vedere. Ambientato 64 anni prima dell’arrivo di Katniss Everdeen, la luce della ribalta è puntata tutta sul personaggio di Coriolanus Snow (Tom Blyth), qua appena diciottenne. Il ritorno a Panem è sotto il segno della gloria, del dramma, dell’inganno e della sorpresa, con il passato che diventa la chiave per poter comprendere gli eventi futuri della saga. Lucy Gray Baird, controparte femminile interpretata da Rachel Zegler, incanta e convince, e insieme a colonna sonora, regia e fotografia riporta lo spettatore in quel vortice di nostalgia degli anni d’oro delle saghe distopiche.
Oppenheimer di Christopher Nolan
Oppenheimer, insieme a Barbie di Greta Gerwing, ha avuto un grande merito: quello di portare tanta, tantissima gente al cinema. Barbienheimer sarà anche stato un fenomeno mediatico studiato a tavolino, un’abilissima strategia di marketing, ma senza dubbio riuscita e, soprattutto, è servita per una buona causa. Oppenheimer di Christopher Nolan ha il fascino di un film d’altri tempi. Una sceneggiatura impeccabile, accompagnata da una colonna sonora e una fotografia potenti, lo rendono un vero spettacolo per gli occhi e per il cuore. Un caleidoscopio di magnificenza, che nonostante le tre ore di durata, incanta e tiene incollati allo schermo, fino al potentissimo climax finale. Menzione speciale, oltre che per Cillian Murphy (Peaky Blinders, Inception), nei panni del protagonista, va anche a una meravigliosa e delicatissima Emily Blunt e a uno straordinario Robert Downey Junior, che in questo film ha dato probabilmente la prova d’attore migliore della sua carriera.
La Chimera di Alice Rohrwacher e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese – Ex aequo
La Chimera di Alice Rohrwacher
Un sogno, un miraggio, un’allucinazione o proprio una chimera da inseguire: tutte queste cose si alternano in maniera dolce e beffarda nell’ultimo capolavoro di Alice Rohrwacher La Chimera. Supportata da un cast che comprende sua sorella Alba, Isabella Rossellini e il magnetico Josh O’Connor, il film porta il pubblico in sala indietro nel tempo (e in molti tempi) con risate e nostalgia, riflessioni e Vasco Rossi. Un film di spiccata eleganza, che chiude la trilogia della memoria iniziata con Le meraviglie, ciclo che mette al centro la brama di potere, l’avidità, con l’incredibile bellezza che inevitabilmente ci circonda (o che si cela sotto di noi). La Chimera, con la sua felliniana magia e intelligenza, è il più grande regalo che possiate farvi quest’anno.
Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese
Se qualcuno si dovesse mai chiedere come fare un film complesso, lungo e che non scada nel banale, Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese sarebbe la risposta perfetta a questa domanda. Nonostante, infatti, le quasi 4 ore di visione, l’ultima impresa di Mr. Scorsese è un giallo preciso e dalla lucida raffinatezza, che pur raccontando in maniera dettagliata un pezzo di storia americana difficile da digerire, non scade nei pietismi e nel giustificazionismo, non lesina colpe e responsabilità, e attinge ai molteplici decenni di onorata carriera del regista per portare alla luce un film appassionante, con numerosi personaggi dalle mille sfaccettature, in cui ognuno ha una voce distinta, una storia e un proprio spazio. Una lezione di Cinema con la C maiuscola come non se ne vedevano da tempo.
Rapito di Marco Bellocchio e Spider-Man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson – Ex aequo
Rapito di Marco Bellocchio
Sembrava impensabile eguagliare il registro perturbante de Il traditore, adattamento biografico del boss Tommaso Buscetta. Eppure Marco Bellocchio, al netto (o a dispetto) della sua longevità anagrafica, sembra ancora non “tradirsi”. La sua ultima fatica Rapito, presentato in concorso a Cannes 2023, ripercorre e celebra il calco inconfondibile del suo cinema. Con una favola nera dalle tinte grottesche, l’autore ricostruisce uno dei capitoli più torbidi, e di rado esplorati, del clericalismo (contemporaneo, tra l’altro, alla fase di autoaffermazione dell’Italia risorgimentale). Riecheggia così i fasti dei film d’impegno civile, quali Sbatti il mostro in prima pagina, e conferma al contempo una fase virtuosa della carriera del cineasta: onirismo e spettacolarità non sono mai stati così complici.
Spider-Man: Across the Spider-Verse di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson
Spesso sembra impensabile anche che esistano dei buoni sequel, capaci di pareggiare (se non valicare) il valore dell’opera campione. Una felice smentita arriva quest’anno dall’impresa degli autori dello Spider-Verse di casa Sony. Ebbene sì, Miles Morales, il tessiragnatele emule dell’eroe di Stan Lee, l’ha fatto di nuovo. Nell’eclettismo grafico del multiverso, il film non solo si classifica come il miglior cinecomic dell’anno, ma come un autentico apripista del genere (più di quanto non avesse già dimostrato il primo capitolo): ben sei sono infatti i diversi stili d’animazione sfruttati, brillanti derivazioni della tecnica ibrida che combina 2D a 3D, ciascuno al servizio dei singoli personaggi e delle loro timeline. L’estetica si fa arte del racconto.
Il male non esiste di Ryūsuke Hamaguchi
Rarefatto e insieme densissimo, dialettico e refrattario agli schemi, enigmatico come un’opera d’avanguardia e trasparente come un classico fuori dal tempo, il nuovo, grande film del regista di Drive My Car si è posato, seducente e destabilizzante, su una Venezia 80 dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, per poi chiudere in bellezza la stagione cinematografica con una storia e un modo di narrarla che scompagina tutte le nostre certezze. Quelle di una modernità capitalista (e predatoria) le cui astrazioni si sgretolano di fronte alla sapienza di una piccola comunità montana che respinge il progetto di un camping di lusso orientato a inquinare le acque del villaggio. Ma anche chi si aspetta (solo) una critica ecologista e un pacato elogio della vita rurale finisce con lo smarrirsi nelle svolte di un film che cambia ogni volta direzione.
Un film la cui lingua è quella avvolgente e pre-morale della terra, dei tronchi, delle foglie, dell’acqua: di una natura che sovrasta e decentra i personaggi e nelle cui forme, suoni ed equilibri ci perdiamo, scoprendoci insufficienti a capire, a contenere, a controllare. In un’epoca di certezze preconfezionate e violente, questo è cinema che invita a scoprire di non sapere, per imparare nuovamente ad ascoltare la musica (in)quieta del mondo. Quel mondo che esiste da prima di noi e delle nostre idee sul bene e sul male.
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