Un paio di occhiali neri e leggermente storti, poggiati asimmetricamente sul naso di Giulio Andreotti (Fabrizio Contri), sono il dettaglio che già all’inizio presagisce una risoluzione distorta, sono l’appunto fastidioso a cui tornerò a pensare verso l’esito finale, quello della morte di Aldo Moro (Fabrizio Gifuni).
Esterno Notte è il nuovo film firmato da Marco Bellocchio, è cinema “politico” se così è ancora possibile chiamarlo, è una lezione di storia priva di escamotages accattivanti per conquistare un pubblico non italiano, è una lezione per noi, protagonisti, prodotto e risultato di quella Storia, le cui abbozzate e terribili equazioni tendiamo a dimenticare.
La riemersione violenta del rimosso
Radio e televisione erano accese. Poco dopo le nove, fu il frastuono assordante degli elicotteri che si alzavano su Roma a dirmi che tutto era successo.
Anna Laura Braghetti, Il Prigioniero
Diciannove anni dopo Buongiorno, Notte (qui sopra l’inizio del libro a cui il regista si è liberamente ispirato per il film), Bellocchio torna a raccontare l’atmosfera di quegli anni: la fetta di Storia facile da rimuovere dalla memoria che continua però a riemergere sempre, come una macchia di sangue da una camicia bianca e inamidata. Il caso Moro, sul quale sono stati scritti libri, saggi, che ha ispirato film e documentari, è il simbolico evento dall’inesauribile potenziale che mette spalle al muro il presente.
Come una voragine dal fondo senza fine, il rapimento di Aldo Moro concentra in sé la violenza e la rabbia, ma anche il silenzio politico, e la fine di un’era. Come punto di non ritorno segna una linea di demarcazione tra il prima e il dopo. Nulla è andato liscio da quel 16 marzo 1978, ed è come se Bellocchio sentisse l’esigenza di urlarcelo in faccia. Questo fa Esterno Notte, recuperando il fermento incontenibile dalle immagini di repertorio, e rielaborando i ricordi in chiave profondamente attuale.
Tra il film e la serie TV
Guardare Esterno Notte ricorda l’esperienza de La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana (uscito lo stesso anno di Buongiorno, Notte). Mentre lì ad essere attraversati dallo sguardo erano quaranta anni di storia, qui sono centrali i 55 giorni di prigionia dell’allora presidente della Democrazia Cristiana, e la sua tragica morte. La scelta della durata di cinque ore non ne fa una narrazione dilatata, è infatti molto difficile perdere l’attenzione perché la scrittura degli eventi è così solida da non presentare punti deboli. Diviso in sei parti andrà in onda come miniserie televisiva nell’autunno 2022 sulla Rai.
A farne un inscalfibile “monolito” narrativo è l’equilibrata gestione della percezione di ogni “attore” coinvolto, in un modo o in un altro, nella vicenda. Il ritmo serrato tiene insieme le diverse individualità, ognuna affetta da problematiche, identità irrisolte e paure. Ed è possibile assistere al racconto di una stessa giornata ma da una diversa angolazione “umana”: Bellocchio è capace di porre accenti che lasciano il segno come proiettili immaginari fiondati sulle maschere politiche del tempo, e sui falsi miti di insurrezione e libertà.
Ogni personaggio ricade su se stesso, incapace di trovare una soluzione a quella realtà incongruente servita come opaca bugia. E Aldo Moro non è più il solo protagonista, perché il suo rapimento non fa che sancire una guerra combattuta tra i mitra delle Brigate Rosse e la fermezza dello Stato, in cui a decretare il fallimento da entrambe le parti è il suo corpo ritrovato senza vita in via Caetani.
L’utopia di Bellocchio e i sogni rivelatori
Quegli occhiali storti dei primi minuti di visione non sono qualcosa di casuale, quell’imperfezione fa parte della critica mossa da Bellocchio. Come sopperire ai danni della Storia? Come in Buongiorno, Notte il regista ricorre alla possibilità utopica di un finale diverso. È un gioco di immaginazione, con cui mostra cosa sarebbe successo se.
Se Moro fosse stato rilasciato, ad esempio: un’immagine costante che torna a rimettere in discussione qualcosa che non smette di lacerare ciò che è irreversibile. Come nel 2003 la brigatista interpretata da Maya Sansa sognava di poter liberare Moro e di guardarlo mentre si allontanava passeggiando, in Esterno Notte è proprio l’inizio a tentare di ripensare gli eventi, immaginando cosa sarebbe successo se.
Gli stralci onirici completano il quadro affiancandosi alle visioni, come quella di Papa Paolo VI (Toni Servillo), della grottesca Via Crucis popolata da silenziosi membri del partito, di fronte ad un Aldo Moro sovrastato dalla croce pesante sulle spalle. Il sogno è quindi la risposta inconscia, la verità più profonda.
In breve
Esterno Notte è l’analisi della realtà storica e politica che ha segnato il nostro tempo. Quell’insieme di flussi opposti confluiti nel tragico evento di un’uccisione che nessuno credeva possibile. Bellocchio si perde nel labirinto del rimosso, come quello in cui vorrebbe perdersi ad un certo punto anche Francesco Cossiga (Fausto Russo Alesi). E torna indietro nel tempo, per capirlo meglio, e per immaginare come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente. Tutto con una infuocata ed irriducibile passione.