Decision to Leave. Copyright 2020 LUCKY RED
Decision to Leave. Copyright 2020 LUCKY RED

Park Chan-wook torna al cinema con Decision to Leave, un thriller noir dalle sfumature romantiche che destabilizza come un sortilegio visivo grazie ad una regia elegante e ricercata. Proprio per la regia l’autore sudcoreano ha vinto il premio a Cannes 2022 ma, inaspettatamente, sebbene abbia ricevuto una nomination come Miglior Film Straniero ai Golden Globes 2023, Decision to Leave non rientra nella cinquina del Miglior film internazionale ai prossimi Oscar.

Una mancanza che fa rumore, lo capirete solo guardandolo.

Saperlo dai minimi, immediati, primi dettagli

Ricorda la sospensione sentimentale di In the mood for love di Wong Kar-wai il rapporto che nasce tra il detective Hae-Jun (Park Hae-il) e la sospettata di omicidio Seo-Rae (Tang Wei). I due si incontrano nel corso dell’indagine sulla morte del marito della donna, ritrovato senza vita ai piedi di una montagna che però aveva scalato più volte. Un incidente? Un suicidio? La moglie, molto più giovane di lui ed emigrata dalla Cina, è la prima persona su cui si posano molteplici dubbi.

Il detective, che ha una compagna che vive lontano da lui e casi irrisolti che non lo lasciano dormire, si apposta per studiare da vicino la vita di Seo-Rae. Lo stesso fa lei con l’uomo, accorgendosi di quella presenza più protettiva che invadente. Osservandosi a vicenda iniziano a provare un’attrazione in cui le parole pronunciate non sono quasi mai quelle che si vorrebbero dire, data la barriera linguistica tra i due. Ma non è necessario trovare la giusta terminologia per capirlo: minimi, immediati dettagli, mostrano una vicinanza profonda fatta di gesti non pensati.

Durante gli interrogatori, in cui dietro alla parete formale delle domande di rito i loro corpi si specchiano e reagiscono all’unisono, quell’amore “sbagliato” inizia ad accendersi. Le loro solitudini si legano, rimanendo tali anche quando il riflesso della verità si mostrerà ad Hae-Jun.

Decision to Leave. Copyright 2020 LUCKY RED

Vedere oltre, vedere tutto: la regia in Decision to Leave

Una danza per immagini, un vedere oltre ciò che normalmente si vede. Non è una novità per il regista, spesso il suo occhio si è mosso oltre un mostrare canonico per scansionare il dettaglio invisibile dietro alla materia. Basti pensare a Thirst (2009), film che gli è valso Premio della giuria al 62º Festival di Cannes: quella necessità di restituire al pubblico una gamma completa di sensazioni attraverso una visione inusuale degli eventi rende il suo sguardo unico. Ma a differenza di Thirst, in cui molte scene sono giustificate da elementi soprannaturali, in Decision to Leave il surreale è assente a favore della realtà, altrettanto enigmatica.

Il sogno e il ricordo sono dimensioni che entrano nella narrazione grazie ad un montaggio ricco di salti e connessioni. I pensieri dei due protagonisti si toccano quasi, anche a distanza, instaurando un ulteriore piano comunicativo.

La composizione delle immagini rapisce dalla prima inquadratura. Sebbene la storia si muova attorno ad un possibile omicidio, la poesia di un amore che delicatamente inizia a farsi spazio ne sovrasta la drammaticità, traducendosi nell’equilibrio dei colori, dalle pareti agli abiti di Seo-Rae. E gli interpreti vi si inseriscono, occupando esattamente lo spazio che devono per donarci l’illusione che possa essere possibile avere il controllo dei propri sentimenti.

In breve

Decision to Leave è una storia d’amore ma anche il ritratto di una donna misteriosa. Un film la cui forza è la direzione così minuziosa di ogni movimento, fisico o spirituale, tanto da far quasi passare in secondo piano una risoluzione di cui non conosceremo mai tutta la verità. Lontano dalla trilogia della vendetta, guarda alle regole del noir, ha una struttura narrativa semplice ma una forza visiva che travalica il genere e incanta lo spettatore.

Decision to Leave. Copyright 2020 LUCKY RED

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.