Agli Oscar 2018 due film britannici raccontavano quasi lo stesso evento, l’Operazione Dynamo, da due prospettive diverse: Dunkirk (Christopher Nolan) e Darkest Hour. Il primo è una silenziosa introspezione, un’opprimente rappresentazione della guerra – via mare, via terra, via aerea – e dell’enorme sforzo richiesto ai civili inglesi per salvare i soldati britannici e francesi bloccati dai nazisti sulla spiaggia di Dunkerque.
Il secondo è il racconto di come si arrivò a quello straordinario successo storico e militare e, soprattutto, di chi lo rese possibile: Winston Churchill. La flotta di Winston, infatti, è chiamato alla fine del film l’insieme di quasi 900 imbarcazioni private corse in soccorso dell’esercito, per resistere all’invasione.
Senza la paura di apparire banale, Darkest Hour insiste sull’ideale romantico dell’eroe pronto a morire per la libertà, solo che in questo caso eroica è anche la Gran Bretagna intera. Lo fa per celebrare, certo, la vittoria contro il nazismo, come forse ogni altro film sulla Seconda Guerra Mondiale, ma non solo. Vuole immortalare soprattutto una sensazione, uno stato d’animo che nasce nell’individuo e poi si espande nella collettività: la resistenza.
Darkest Hour: l’ora più buia è quella che richiede tutta la nostra volontà
Ogni storia che leggiamo, guardiamo o raccontiamo, già dalle favole dell’infanzia, ha la sua ora più buia, il momento più basso del percorso narrativo, in cui tutto sembra perduto. Puntualmente, però, è proprio lì che eroi ed eroine trovano la forza per risalire. Ed è questo a darci la certezza (o l’illusione) che così funzioni anche nella vita reale. Ci vogliono sangue, fatica, lacrime e sudore, ma alla fine ad ogni caduta corrisponderà una risalita, come a ogni successo seguirà un fallimento, l’importante è proseguire, con coraggio. Lo dice chiaramente il Churchill di Gary Oldman (Premio Oscar per questo ruolo), spesso guardandoci negli occhi, attraverso lo schermo.
Nel maggio 1940 l’Europa sta crollando rapidamente ai piedi di Hitler. In pochi giorni l’esercito nazista avanza dal Belgio, dall’Olanda e dalla Francia, arrivando a un passo dalla Manica. La guerra rischia di spostarsi sul suolo britannico e, pur di evitarlo, una parte influente del Partito Conservatore di Churchill prova ad aprire i negoziati con la Germania tramite l’Italia.
Ma cosa succede a chi si arrende e non combatte? Avrà mai la vera libertà? È questa la domanda che tormenta il neo Primo Ministro Churchill fin dall’inizio, perché vincere o morire è più vero che mai di fronte a un totalitarismo crudele come il nazismo. Non esiste una via di mezzo in cui salvare la propria integrità morale e la propria identità.
Churchill eroe romantico, da solo contro tutti
Eppure, a lungo, durante il film di Joe Wright, solo Churchill sembra cogliere questa intensa sfumatura tra la pace e il campo di battaglia. Churchill è solo contro tutti e la regia di Joe Wright insiste nel farcelo notare. È l’unico che sembra andare oltre la logica e il senso comune, per un bene superiore (tralasciando un cambiamento repentino del Re Giorgio VI, a cui non è lasciato molto spazio né alcuna lode). Per assecondare la sua visione, tuttavia, è necessario uno stoicismo senza pari, dimostrato appunto più dal popolo britannico che dalla classe politica. Ed è al popolo che infatti alla fine Churchill si rivolge nella sua, personale, darkest hour, nella sua crisi più profonda. Sia quando simbolicamente si reca a Westminster in metropolitana, chiacchierando con i passeggeri, sia soprattutto nel toccante confronto con la sua segretaria (Lily James).
Quel che vediamo non è ancora la Londra distrutta dai bombardamenti, ma una città ugualmente pronta a combattere. Il film è pervaso da un senso di attesa, di tensione e disperazione, nonostante sia ben noto l’esito vittorioso, sia dell’Operazione Dynamo che della guerra stessa. Questo fa capire come Darkest Hour sia magistralmente costruito per dare risalto ai dubbi, ai tormenti e alle preoccupazioni del suo indiscusso protagonista. Churchill-Oldman è, in una sola parola, straordinario. Ironico e sprezzante al punto giusto, sfacciato, impetuoso, carismatico, commovente. Protagonista assoluto di una storia che in fondo non ci stancheremo mai di riascoltare, perché va oltre il 1940, facendo ancora risuonare quel we shall never surrender, del discorso finale, come monito al presente.
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