Daliland

Daliland (2022) è il nuovo film di Mary Harron, di genere biografico/drammatico, distribuito da Plaion Pictures, in uscita nelle sale italiane giovedì 25 maggio.

Sinossi

New York, 1973, Salvador Dalì (Ben Kingsley) vive al Ritz insieme alla moglie Gala (Barbara Sukowa) e sta preparando la sua prossima mostra. Un giovane apprendista di nome James (Christopher Briney) viene scelto dal pittore in persona affinché gli faccia da assistente personale mentre realizza le tele da esporre. James ha modo di osservare e studiare da vicino la divina arte di uno dei più grandi surrealisti di sempre.

Il ragazzo a breve scopre che non è tutto oro quel che luccica. Dietro allo stile di vita lussurioso, edonistico, godurioso e sfarzoso, in realtà si nasconde un immenso vuoto invalidante che divora e consuma l’ormai anziano artista. La sua paura di invecchiare è esaltata dai comportamenti sregolati di sua moglie Gala, con la quale i rapporti vanno a deteriorarsi sempre di più.

L’Arte di Mary Harron non esplode e non convince

Daliland non stupisce ed è un peccato se si pensa invece allo stupore che impunemente dirompe ed emerge dai quadri di Salvador Dalì. Il piano narrativo ha sovrastrutture che faticano ad andare oltre, a sprofondare davvero nell’abisso dell’artista. Tutto rimane in superficie, come il colore che non squarcia la tela, come l’arte astratta, ma che astratta rimane.

La regista ci prova a raccontare le ultime follie, le ultime passioni che sfociano in ossessioni e le paure del mostro sacro del surrealismo, ma non tocca, non suscita la meraviglia che si sperava venisse manifestata dal premio Oscar Ben Kingsley, nei panni del pittore. L’intenzione che risiede nell’opera di umanizzazione di un dio dell’arte, come Dalí, è percepibile, ma non tattile, non è vivida: è offuscata dall’erotismo, dalla libido che vuole fungere da pretesto allo smarrimento del pittore, ma non convince. 

Tutto è sedimentato sotto il sesso, la pulsione, ma di arte nemmeno l’ombra. Insomma, Dalì è il genio de “il grande masturbatore”, dell’elogio dell’imprevedibilità della morte e dell’ira, che viene considerata, dall’artista, linfa creativa e vitale, in cui egli stesso, con il pennello, ha attinto le più belle sfumature dei suoi dipinti, dei suoi tormenti e della sua brillante follia, ma la sceneggiatura non riesce a far fronte all’enorme spettacolo che è la vita di questo artefice di estro e originalità.

Tutto oscilla come un flusso esacerbante che con cura dovrebbe eccellere, ma che in realtà rimane nell’oblio dello svolgimento del compitino, rimanendo didatticamente fine a sé stesso.

Gala Dalì la vera musa del pittore e l’elemento salvifico dell’intero film

Se c’è una cosa che può struggere e ribaltare le sorti di questo calderone di stati emotivi poco chiari è la figura di Gala, la moglie di Dalì.

È quasi paradossale se si realizza che basterebbe cambiare il soggetto protagonista del biopic, per considerare questo film ben riuscito. Interessante è il mondo, la realtà che gira intorno a questa donna, considerata musa, più delle altre muse. Niente Daliland, solo Galiland: Gala Dalí, che viene messa in luce fino alla fine. “Con Gala condivido la stessa follia” afferma il genio, ma quando quella stessa follia viene meno, viene meno anche Salvador Dalì.

Un encomio atipico, in cui l’esaltazione della dote artistica è rimessa totalmente a colei che ha davvero ispirato il Maestro del surrealismo, ovvero Gala.

L’ “Avida Dollars”, anagramma con cui Breton definiva Dalí, si spegne quando si disinnescano la pazzia e la stravaganza, unico frame in grado di ribaltare le sorti dell’assopimento emotivo dello spettatore, che si ritrova a rivivere la donna, giacente sul letto di morte, interiorizzando tutto lo sgomento di Dalì, in un unico istante. 

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.