Che fare quando il mondo è in fiamme? è il punto in cui cinema d’autore e cinema documentario si incontrano. Roberto Minervini lo gira dopo oltre due anni di sopralluoghi, necessari soprattutto a creare il legame e il rapporto di fiducia fra osservatore e osservati in un momento storico in cui si raggiunge anche all’apice degli scontri fra le comunità afroamericane e i corpi di polizia: l’estate 2017.
Sono quattro le storie di questo mondo in fiamme che Minervini sceglie di raccontare. La prima è quella di Judy Hill, cinquant’anni e un passato turbolento, violento e traumatico. Nel film racconta i suoi ultimi giorni di lotta contro un sistema economico che la costringe ad arrendersi e chiudere il suo bar di fronte alla galoppante gentrificazione.
La seconda storia è quella del Chief Kevin Goodman, capo tribù delle Frecce Ardenti, ossia una delle oltre cinquanta tribù di Indiani del Mardi Gras a New Orleans. Una comunità specifica della città che è anche l’aspetto etnografico più interessante del film. Il Mardi Gras di New Orleans rappresenta un fattore culturale essenziale, considerato al pari di un rituale e di una forma di militanza. Lo spettatore ha così la rara possibilità di assistere da vicino e dall’interno a questo rito, a partire dalla realizzazione dei costumi per la grande parata al centro dell’evento.
Terza storyline, che si intreccia con le due precedenti, è quella dei due fratelli Ronaldo e Titus. Minervini, fra tutti i ragazzi della comunità, di sofferma su di loro forse per la loro particolare presenza scenica, per quel misto di dolcezza e amarezza che si legge sui loro volti o si percepisce nelle loro parole.
L’ultima storia è quella esplicitamente militante, e anche l’unica lontana da New Orleans. Ci porta infatti a Minneapolis, dentro le iniziative del New Black Panther party for Self Defense.
Quattro focus, dunque, che hanno però dei temi trasversali da indagare.
Proteggere il territorio per proteggere l’identità
Il termine gentrificazione, ancora poco noto in Italia, indica una serie di cambiamenti urbanistici che hanno l’intento di riqualificare le zone periferiche della città a danno però delle comunità marginali che già le abitano.
In Che fare quando il mondo è in fiamme? Minervini ne fa il collante delle storie, lasciando però che il senso di minaccia e di instabilità del fenomeno emerga autonomamente da ciascun racconto, senza forzarne l’interpretazione. A un livello più profondo, la gentrificazione è un macro-tema che riflette sulla necessaria salvaguardia dell’identità afroamericana, un imperativo costante che si esprime con ogni mezzo e di cui il regista si fa ulteriore strumento.
Black & Blue Lives: la difficile rappresentazione del rapporto con le istituzioni
Lo scontro con le strutture d’ordine della società è un altro tema che attraversa le quattro storie. Lo fa per esempio nella storia di Romolo e Titus, nella paura e nella minaccia concreta della galera nella loro “narrativa” di young black boys. Lo fa però soprattutto nel racconto brutale, non edulcorato, degli scontri con la polizia.
In breve
Minervini, italiano, si avvicina alla cultura afroamericana con l’intento di raccontare la rabbia montante della società statunitense contemporanea, per poi essere travolto dal bisogno di condividere una collera ancestrale e intergenerazionale, frutto di una ferita mai rimarginata che alimenta ancora il fuoco della resistenza nera.
Che fare quando il mondo è in fiamme? è un titolo che ben riassume, infatti, l’idea di un equilibrio ormai spezzato, se mai esistito.
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