Verdena
"Chaise Longue”, che apre il nuovo album dei Verdena “Volevo Magia”, in uscita venerdì 23 settembre.

Tornano i Verdena: li avevamo lasciati con le sonorità disgreganti e ipnotiche di America Latina e ora arrivano con un nuovo album previsto per il 23 settembre. Prima di tutto però ascoltiamo Chaise Longue, il singolo che ci fa tornare nel loro mondo, rilasciato un paio di giorni fa.

Chaise Longue

Un giro di accordi indie, come ormai siamo abituati a sentirne e risentirne a migliaia, poi una voce, quieta e malinconica, che ricorda tanto quella incredibilmente riciclata con un copia e incolla sotto infiniti nomi di italian songwriters alternativi.

E allora ci abbandoniamo al solito ascolto, in attesa di capire quale sia la sensazione comune (o “emozione sociale buona per tutti”, ormai eufemismo ufficiale di “luogo comune”) sviscerata stavolta per conquistare maliziosamente il gusto comune, e quindi il mercato. Come ha insegnato a suo tempo Cesare Cremonini e hanno imparato in tanti, primo tra tutti Tommaso Paradiso.

Ma per quanto passivo sia il nostro ascolto, emerge qualcosa di diverso da questo brano. Ad ascoltarlo meglio, è un’impercettibile incrinatura nella voce, come se custodisse il segreto di un incubo mentre canta la calma del sogno.

E quando all’improvviso emerge un ritmo di bonghi dal fondo, un brivido ci rivela una serie interrotta di scosse di chitarre elettriche, distorsioni vocali e principi inghiottiti di grida che cercano di nascondersi dietro la linea melodica di questo pezzo indie. Sembra l’inquietudine di un sinistro passato mal sommerso che chi sta suonando non riesce proprio a trattenere dentro di sé: o forse non vuole affatto. È qualcosa che con questo genere proprio non rima, anche se vuole illuderci che lo faccia, solo per accoglierci, per assecondare le nostre orecchie e poi, all’improvviso, stordirle.

Le parole sfuggono, si gettano a caso una sull’altra dando soltanto l’impressione di un significato. Un’impressione sbagliata. Perché la sola frase che sembra avere senso è un’implorazione: “svegliami, se puoi”, miagola la voce principale, per ricevere la risposta di uno strano, dissonante coro, “non sei più tu, ormai”.

Ed è allora che sorridiamo il nostro sorriso più sardonico, quello di John Belushi che ridà la chitarra al suo languido proprietario, dopo avergliela strappata di mano e distrutta davanti agli occhi in Animal House. Non c’è nessun Pinguino Tattico Nucleare, né alcun Paradiso nelle nostre orecchie, ma Chaise Longue, il nuovo singolo, il ritorno dall’inferno dei Verdena.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.