Al suo debutto, poco più di un anno fa, Bridgerton sembrava reggersi soprattutto sull’affascinante figura del Duca di Hastings, anche se avevamo trovato ben 7 motivi per cui aveva conquistato Netflix in pochi giorni. All’indomani del grande successo, quando Regé-Jean Page si è tirato subito fuori dal progetto, era rimasta una sola grande domanda: come avrebbe retto la seconda stagione? Stavamo forse sottovalutando l’ottimo Jonathan Bailey, il Visconte che mi amava.
Il Visconte che mi amava
È questo il titolo del secondo libro di Julia Quinn, dedicato proprio a Lord Anthony Bridgerton, primogenito della famiglia protagonista. Lord Bridgerton cerca moglie in questa stagione e progetta un matrimonio perfetto, sotto tutti i punti di vista richiesti dalla società, purché non ci sia amore. Dietro questo suo calcolo macchinoso e freddo si scopre subito la paura di un legame forte che se da un lato è una delle prime banalità dei romanzi d’amore, dall’altro prende anche la forma più profonda di un trauma irrisolto: la perdita improvvisa del padre che in questa stagione è approfondita meglio.
Nei piani perfetti e gelidi di Lord Anthony, tuttavia, irrompe l’arrivo di Kate Sharma (Simone Ashley), che ci regala uno degli slow-burn più travolgenti degli ultimi anni. Vale a dire una storia costruita a piccoli passi, reciproci, fino al finale sperato.
Un desiderio crescente
Sì, è vero. Se avete sentito che in questa stagione di Bridgerton non c’è più sesso o quasi, è proprio così. La storia tra Daphne e il Duca si basava quasi esclusivamente sul rapporto fisico tra i due personaggi. In questi nuovi episodi invece si torna a una rappresentazione meno esplicita ma non per questo priva di desiderio, anzi! Kate ed Anthony si inseguono fin dall’inizio, si odiano, ma in realtà devono solo riordinare il tumulto di sensazioni e sentimenti che scambiano per odio e che invece è pura e irrazionale attrazione. La loro storia è quindi un continuo cercarsi e respingersi, una scintilla che da un momento all’altro può accendere il fuoco, ma che aspetta…e aspetta…e aspetta, fino alla fine. Eccolo, lo slow-burn, che fa sì che Shonda Rhimes ci freghi anche stavolta!
Un effetto del genere non sarebbe comunque possibile se non ci fosse stato un netto miglioramento nella scrittura della serie, come se con questa stagione si facesse anche più sul serio, cercando di scrollare via l’etichetta, troppo stretta e ormai superata, del guilty pleasure. Se allora di fronte al Duca di Hastings si parlava di Mr. Darcy con una certa ironia, davanti a Lord Anthony il paragone veste a pennello, e non solo. Per chi è cresciuto/a con le atmosfere del Pride & Prejudice di Joe Wright, Kate ed Anthony riportano esattamente a quel desiderio forte e trattenuto, che prima o poi trova il modo di farsi ascoltare.
In breve
Si poteva fare di più? Certo! Si poteva fare meglio? Assolutamente. Mancano tantissime cose, a partire dalle storie minori, che sembrano tutte interessanti ma raccontate poco. Non avreste voluto vedere molto più di Eloise e Theo? O qualcosa in più di Ben? Il problema maggiore, però, riguarda i nuovi personaggi, le sorelle Sharma, la cui caratterizzazione culturale non è mai approfondita. E non sarebbe nemmeno grave in un mondo colorblind di fantasia, come è quello di Bridgerton, se non fosse che diventa difficile spiegare la relazione fra Londra e l’India senza mai menzionare l’Impero e il colonialismo. Shondaland in questo caso cammina sul filo del rasoio, a un passo dal pasticcio.
Il punto è che è molto facile dimenticarsene almeno per un attimo e lasciarsi inghiottire dagli otto nuovi episodi, impossibili da non divorare tutti in una volta.
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