A distanza di quattro anni dall’uscita del primo capitolo – che arrivò nelle sale nel febbraio 2018 – e a due anni dalla scomparsa del suo protagonista Chadwick Boseman, a partire dal 9 novembre arriva nelle sale cinematografiche Black Panther: Wakanda Forever. Secondo capitolo dedicato alla figura della Pantera Nera, Black Panther: Wakanda Forever è stato il film più chiacchierato e al contempo più atteso dei Marvel Studios degli ultimi due anni.
Black Panther: Wakanda Forever, l’elaborazione del dolore
Re T’Challa è morto. A distanza di un anno dalla scomparsa del Re, il Wakanda e i suoi abitanti stanno ancora cercando di rimettere insieme i pezzi e di trovare una stabilità all’interno di una quotidianità che li espone continuamente a pericoli provenienti dal mondo esterno. Come se non bastasse la Regina Ramonda (Angela Bassett), ora alla guida del Wakanda, e la Principessa Shuri (Letitia Wright) devono fare i conti con una nuova popolazione proveniente dagli abissi marini che, guidata dal mutante Namor (Tenoch Huerta), minaccia il Wakanda proprio quando Black Panther è solo un ricordo.
Black Panther: Wakanda Forever prende vita da un momento di completa crisi, sia interna alla narrazione che esterna. Il lungometraggio, diretto ancora una volta da Ryan Coogler, è ben più di un semplice film sui supereroi. È in grado di andare oltre ai consueti schemi che caratterizzano i film Marvel, ponendosi un gradino sopra a tutti i suoi predecessori. Il trentesimo film dei Marvel Studios è in grado di mescolare abilmente ed efficacemente azione, dolore, cambiamento, guarigione e omaggio sia a Chadwick Boseman che al personaggio di T’Challa, con quest’ultimo cucito all’interno della trama stessa tramutando il film in una vera e propria lettera d’amore e devozione nei suoi confronti.
Black Panther: Wakanda Forever, l’ascesa della Principessa Shuri
Tanti sono i personaggi a cui viene dato spazio all’interno del lungometraggio, segno di una scelta registica e narrativa da non sottovalutare, che decide di trattare in egual modo un numero esiguo di vissuti diversi tra loro, ma accumunati dal dolore per la perdita di una figura emblematica, la loro guida. Da Nakia (Lupita Nyong’o), che torna in un film dell’MCU dopo la sua assenza in Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, passando poi per Okoye (Danai Gurira), generale a capo delle Dora Milaje, ora sole a difendere un’intera nazione. Ma Shuri (Letitia Wright) è quella che compie un’evoluzione maggiore.
Principessa del Wakanda e sorella di T’Challa, Shuri non è più la ragazzina che il pubblico aveva imparato a conoscere in Black Panther. Ormai è cresciuta, è maturata e ha affrontato una serie di eventi e situazioni che, mettendola duramente alla prova, le hanno permesso di cambiare atteggiamento nei confronti di ciò che per lei era certezza. Se all’inizio del lungometraggio appare come una ragazza distrutta e con l’intenzione di estraniarsi dalla realtà per non affrontare il dolore, successivamente compie un’evoluzione senza precedenti. Dal dolore ottiene nuova consapevolezza, si appropria di un’identità chiara e da lei tanto ricercata. Una rinascita che dà vita a una vera e propria ascesa.
Black Panther, Wakanda per sempre
Black Panther: Wakanda Forever parla di un popolo, di una cultura e di una storia, che se nel suo predecessore era stata solo presentata (lasciando agli spettatori gli eventuali approfondimenti) qui viene analizzata e studiata all’ultimo dettaglio. È lo scontro tra due realtà diverse, quella dei Wakandiani da un lato e gli ex Atlantidei (traslati da Coogler nell’a città Maya di Tālocān) di Namor dall’altro, che si misurano ma al contempo imparano a conoscersi. L’introduzione di questa nuova terra arriva nel momento giusto e nel film giusto; non mette in ombra il Wakanda, anzi viene presentata correttamente, ritagliandosi nella trama il giusto spazio. Namor, interpretato da Tenoch Huerta, e Shuri, interpretata da una Letitia Wright al suo massimo, sono due facce della stessa medaglia, sopravvissuti alla grande macchina del dolore.
La sceneggiatura di Black Panther: Wakanda Forever, scritta da Ryan Coogler in collaborazione con Joe Robert Cole, non presenta buchi di trama e mancanze che tanto avevano caratterizzato i prodotti Marvel della Fase 4. È sincera, fa dell’azione uno dei suoi ingredienti principali insieme a riflessione e parti più calmierate e tratta il dolore nella maniera più vera e toccante possibile. Fotografia, colonna sonora, costumi, scenografie ed effetti speciali al limite della perfezione concorrono nella creazione di un prodotto finale emozionante e veritiero, che rinasce dalle ceneri causate dal lutto, rendendolo l’anello di chiusura perfetto (anche se la conclusione canonica è lo speciale natalizio dei Guardiani della Galassia) di una Fase 4 imperfetta e altalenante, e un meraviglioso tributo a Chadwick Boseman, colui che ha reso Black Panther così grande.
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