La regista Halina Reijn, dopo aver diretto Bodies Bodies Bodies (2022), arriva a Venezia 81 nella Selezione Ufficiale con Babygirl. Annunciato come un thriller erotico, il film ha l’ambizione di mettere in relazione due percezioni distinte e lontane sulla sessualità che si incontrano in una dinamica di potere e sottomissione.
Da una parte quella di Romy (Nicole Kidman), che nonostante abbia una vita idealmente perfetta, non riesce a confessare a suo marito (Antonio Banderas), cosa desidera davvero o esplicitare i suoi desideri, annullando così le sue pulsioni o vivendole solo in privato. Dall’altra Samuel (Harris Dickinson), giovane stagista di meno di 30 anni che vive il sesso come avventura, assecondando qualsiasi tipo di voglia.
Lo scontro avviene nel confronto tra due generazioni abituate a concepire il sesso e le relazioni interpersonali in modo completamente diverso, l’incontro si propaga come realizzazione di fantasie da parte di entrambi. Detto questo, rimane solo un’ipotetica bella confezione narrativa in cui la regista avrebbe potuto spaziare a livello di possibilità (e sensualità), mentre la sostanza è ben poca: dove i personaggi risultano abbozzati o stereotipati, l’analisi del loro background è sommaria, come la modalità in cui arrivano a concedersi una relazione segreta fatta di dominazione e dipendenza.
Nulla di sensuale, poco di femminista
L’obiettivo di realizzare una rappresentazione libera e liberatoria della sessualità di una donna che ha superato i 50 anni è quello che ci ha portato a pensare che Babygirl sarebbe stato un film ad alto contenuto di erotismo, ma soprattutto violentemente femminista.
A spezzare la favola è la patinata allure da videoclippone, che ha la sua apoteosi in una scena che si consuma in una sovrapposizione di musica martellante e corpi sudati in una discoteca, dove Romy per un attimo si concede la concitazione, il contatto, l’idea di appartenere a quel flusso di pelle e sudore.
La ricerca spasmodica della protagonista ha origini nel suo passato, fatto di sette e culti religiosi, ma questo è un altro dettaglio su cui ci viene detto poco, come poco è ciò che riusciamo a capire del personaggio di Samuel, prevalentemente odioso, la cui enigmaticità è data unicamente da una scrittura lacunosa che lo abbozza senza dargli alcuno spessore.
Nonostante entrambi gli attori si mettano alla prova, e nel caso di Nicole Kidman anche mostrando tutta una serie di fragilità dovute al suo estenuante ruolo di potere in ambito lavorativo nonché al suo aspetto fisico, vittima del tempo che passa, l’effetto è praticamente soporifero. Stancante in quanto destinato a nulla di determinante né per l’uno né per l’altra, ma neanche per noi che guardiamo e che dopo un paio di scene osé (come osé poteva essere descritto un film erotico di 40 anni fa) cerchiamo un motivo per proseguire a guardare.
Babygirl, in breve
Quello che sarebbe da far presente alla regista è che nel 2024 una rappresentazione del genere è ancora una volta troppo lontana dalla realtà, ma colma della presunzione di farsi carico di tematiche fondamentali e vere, come la possibilità di liberarsi da pregiudizi e preconcetti e smettere di considerare sbagliati determinati desideri.
Ma Babygirl si presenta come la più patinata e noiosa delle liberazioni sessuali, a tratti anche ridicola dove non dovrebbe, che tende a minimizzare la psicologia dietro alle pulsioni, cercando di fare scalpore con un paio di scene di nudo.
Di sfrontato ha quindi ben poco, ma anche di impegnato, ed è l’ennesima occasione persa per parlare di sesso al femminile, o di fare la differenza dal punto di vista dell’analisi del divario tra due generazioni separate da percezioni pressoché inconciliabili. Se una donna sposata che si masturba davanti a un porno e viene messa a quattro zampe come un cane è provocatorio, qualcosa è andato storto in principio.
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