La notizia, risalente al 23 ottobre, è che il Tribunale civile di Taranto ha ordinato a Groenlandia srl e alla Walt Disney Company Italia srl di sospendere immediatamente la messa in onda della serie tv Avetrana – Qui non è Hollywood. Il motivo è che l’uso del toponimo della cittadina pugliese in provincia di Taranto rischia di creare pregiudizio, secondo quanto dichiarato – prima in una nota e poi in un’intervista a un telegiornale locale (TG Norba) – dal sindaco Antonio Iazzi, che ha appunto presentato il ricorso cautelare d’urgenza per la rettifica del nome della serie e lo stop alla trasmissione.
Così venerdì 25 ottobre, giorno previsto per il debutto, non c’è traccia su Disney+ della serie diretta dal regista pugliese Pippo Mezzapesa. Pochi giorni prima, tuttavia, a Roma durante la Festa del Cinema è stato possibile vedere in anteprima gli episodi e – al di là della questione giuridica che proseguirà nelle sue dovute sedi – come addetti ai lavori e giornalisti abbiamo avuto la possibilità di capire cos’è Avetrana – Qui non è Hollywood e perché la sua sospensione è ancora indice della nostra insufficiente educazione all’immagine.
Dal 2010 al 2024: quattordici anni non sono tanti e non sono pochi
Il delitto di Sarah Scazzi è avvenuto alla fine dell’estate 2010 e ha segnato in modo indelebile la storia dei media italiani, anche solo per il ruolo avuto dalla trasmissione Rai Chi l’ha visto?, quando durante un collegamento in diretta con la madre di Sarah, Concetta Serrano, è stato annunciato il ritrovamento del corpo della quindicenne.
L’attenzione per il caso si è fatta morbosa e le contraddizioni delle dichiarazioni degli accusati (e poi condannati) hanno contribuito a mettere in moto “la macchina” di una spaventosa spettacolarizzazione che si è trasformata in turismo dell’orrore. Sono trascorsi quattordici anni, eppure nessuno che abbia visto i telegiornali nel 2010 ha mai davvero dimenticato ogni evoluzione delle indagini di questo delitto. Lo stesso “ritorno al passato” che il comune di Avetrana oggi vorrebbe scongiurare, in realtà, è sempre stato presente su YouTube per tutto questo tempo, fra stralci di interviste o di programmi televisivi. Vale quindi forse la pena provare a raccontarla diversamente, questa storia, avendo sempre come punto di riferimento gli atti giuridici e le sentenze definitive dei tribunali.
Il cinema (non) è verità
Da questo punto di vista la serie di Pippo Mezzapesa non transige, non dice nulla che non sia stato confermato da atti pubblici. Non trattandosi però di un documentario né di un’inchiesta giornalistica, si prende la libertà di immaginare i pensieri e i dialoghi dei personaggi a porte chiuse e a telecamere spente. O i loro conflitti interiori. Se già nelle scuole si insegnasse ad analizzare un film come si insegna a parafrasare una poesia, non ci sarebbe nemmeno bisogno di ribadirlo che è tutto finto. E che niente di ciò che la serie racconta cambia ciò che è accaduto nella realtà.
Quel che manca, tuttavia, è la volontà, la sensibilità o la capacità di distinguere i due piani, a causa della vicinanza di questa storia al nostro presente, al nostro contesto. Altrimenti non si spiega il contemporaneo successo del true crime o delle serie sui vari Jeffrey Dahmer e fratelli Menendez.
Allora il problema è la distanza temporale? La vicinanza geografica? Quattordici anni sono tanti ma non sono abbastanza, eppure non è nemmeno questo ciò che potrebbe aver disturbato in Avetrana – Qui non è Hollywood.
Nel tentativo di ricostruire un preciso momento storico (il 2010) in un preciso luogo (il sud Italia), l’unica vera critica che si può muovere alla serie è quella di aver marcato un po’ troppo l’estetica di quegli anni, pur avendola ricostruita correttamente. In fondo anche questo è un prodotto “in costume”, anche se vicino nel tempo. Più che una comunità omertosa, rappresenta un Sud stereotipato in cui il trucco, gli abiti, l’aspetto trasandato della provincia non hanno alcuna intenzione di abbellire l’immagine dei protagonisti, come è solita fare Hollywood, appunto, ma li fanno piombare in una bruttezza che da esteriore diventa interiore. C’è chi è arrivato a definirlo un prodotto antimeridionalista, ma prima di arrivare a tanto, forse, è da considerare anche il significato che in una storia spesso si stratifica attraverso il potenziale drammatico del grottesco, volontario o involontario che sia in questo caso.
Cosa si è detto durante la Festa del Cinema di Roma
Naturalmente sia la produzione sia Disney preferiscono non rendere pubbliche troppe dichiarazioni ufficiali in questi giorni, tuttavia, durante la Festa del cinema stessa, durante altri eventi, sia Matteo Rovere sia Pippo Mezzapesa hanno condiviso delle considerazioni generali.
Rovere ha affermato: “La Costituzione sancisce la libertà degli autori e delle autrici di esprimersi e di raccontare il presente, di raccontare la realtà, di raccontare la contemporaneità, di raccontare il mondo in cui viviamo anche proprio con l’obiettivo di elevare lo spirito critico e quindi di non addormentare chi ci guarda ma provocare riflessioni, provocare analisi. Il cinema non ha il ruolo di cambiare il mondo, credo, ma permette di interrogarsi sull’esistente, di interrogarsi sul presente e avere il coraggio di parlarne. Quando le cose arrivano da lontano ci rassicurano, perché sembrano non appartenerci. Quando si trovano più vicine ci creano qualche preoccupazione in più ma io credo che una cinematografia contemporanea debba avere la forza di superarle”. E subito dopo Mezzapesa aggiunge: “Credo che il limite di un narratore debba essere comunque sempre il pieno rispetto delle storie che si vanno a raccontare e delle persone, più che dei personaggi, con cui si va a vivere, che si vanno a esplorare e sviscerare”.