Mikey Madison in una scena di Anora. Foto di Augusta Quirk. Courtesy of Festa del cinema Roma 2024
Mikey Madison in una scena di Anora. Foto di Augusta Quirk.

C’era una volta, tanto tempo fa, la storia di Cenerentola che, sposando il ricco principe azzurro, diventa principessa e vive per sempre felice e contenta. La vita, però, per quanto possa provare a replicare le favole, schiva i lieto fine che ci hanno abituato a desiderare, lasciando che la storia di Cenerentola rimanga il più delle volte soltanto un miraggio. A ribadirlo, questa volta, ci pensa Sean Baker, con il suo Anora, Palma d’oro a Cannes 2024 e dal 7 novembre al cinema.

La trama di Anora

Anora (Mikey Madison) ha 23 anni, è una sex worker in un locale di Brooklyn, New York. Vive di notte, fra chiacchiere con le colleghe e clienti a cui mostrarsi sempre con il sorriso, mentre di giorno trova a malapena il tempo di parlare con la sorella, più inquilina scostante che vera famiglia.

Succede poi all’improvviso che, a causa della sua conoscenza della lingua russa, incontra un ragazzino poco più giovane di lei, Ivan (Mark Eydelshteyn), che subito rimane affascinato e chiede di rivederla.

È così che inizia la loro storia d’amore? Quasi. Perché il principe azzurro in questo caso, oltre a essere poco più che un adolescente immaturo, è anche il figlio di un oligarca russo, il quale non è affatto felice di questa relazione e, attraverso i suoi scagnozzi, farà di tutto per sistemare le cose secondo il proprio giudizio.

Tra Pretty Woman ed Euphoria

Tra droghe, sesso e soldi, dunque, si sviluppa la nuova fiaba moderna di Sean Baker, che torna ancora una volta sul tema a lui caro delle sex workers. Già autore, tra gli altri, di The Florida Project e Red Rocket, racconta le contraddizioni dure, difficili, di chi vive ai margini ma cresce all’interno di aspettative di felicità irrealizzabili.

In Anora, infatti, il paragone con Cenerentola cede quasi subito il passo a quello con Pretty Woman, il sogno di incontrare un uomo bello e ricco che, da un momento all’altro decida che tu sei “quella giusta” e ti porti via dalle faide sul lavoro e dalla preoccupazione del dover in un modo o nell’altro sopravvivere. Le intenzioni, così come lo sviluppo della storia, tuttavia, sono completamente differenti da quelle su cui si basa il cult anni ’80: non solo il “vissero per sempre felici e contenti” è un miraggio non raggiungibile, ma Anora non necessita del provvidenziale intervento di un uomo.

Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora, film di Sean Baker. Courtesy of Universal Pictures
Mikey Madison e Mark Eydelshteyn in una scena di Anora, film di Sean Baker. Courtesy of Universal Pictures

Anora, più che con Julia Roberts, ha forse quindi ancora più punti in comune con Maddy Perez di Euphoria: determinata e risoluta a ottenere ciò che vuole e più che capace di difendersi (sia verbalmente che fisicamente). Insomma, volutamente nella posizione di non essere mai vittima, ma sempre artefice del proprio successo, anche quando questo sfugge e diventa chiaro che questa la scommessa di ricchezza e felicità non darà i risultati sperati.

La mancanza di giudizio di Sean Baker

Sean Baker, come è noto, non giudica mai il sex work che spesso racconta. E questo è un altro punto di distanza fra Anora e Pretty Woman, o qualsiasi altro riferimento culturale. Nonostante Anora più volte venga etichettata in maniera dispregiativa come escort e si noti come questa lettera scarlatta la identifichi come “persona di serie B” agli occhi di quasi tutti gli altri personaggi, lei non cede mai alle pressioni dello sguardo e del giudizio altrui.

Il suo è un lavoro. A volte rende bene e a volte no, a volte è divertente e a volte un tormento, ma rimane comunque un banale, stancante, lavoro. Non una merce di scambio, ma un vero strumento per ottenere i vantaggi a cui aspira nella propria vita e che, per quanto possa essere frainteso, mal giudicato, evitato dalla restante parte della società, non mette mai davvero in crisi la protagonista circa il proprio valore. Anche quando umiliata, sbeffeggiata, persino quando è evidente che determinate differenze socio-economiche non possono semplicemente essere superate con la fortuna e l’impegno, Anora non si arrende mai all’immagine di sé che gli altri vogliono ridare, perché semplicemente ciò che fa non è ciò che è.

I volti di Anora

Ciò che in Anora sorprende (o, conoscendo un po’ Baker, forse c’era da aspettarselo) è che non si tratta di un film violento, che è la prima cosa che verrebbe in mente leggendo la trama, ma anche che non è solo un film su un (tentativo di) riscatto sociale. Per tutto il secondo tempo, infatti, è quasi una commedia: dai due ceffi che l’oligarca russo manda per far lasciare i due ragazzi (che sembrano quasi una parodia dei ladri di Mamma ho perso l’aereo) fino alla madre autoritaria e stizzita che fa tanto matrigna dei film Disney, questo film riesce ad alternare momenti vietati a minori di 14 anni con momenti di facili risate e battute leggere.

Per tutta la sua durata i toni non restano mai uguali e dallo sfarzo prepotente da video trap di Ivan, il ragazzino viziato che si invaghisce di Anora, fino alla bruciante delusione di quest’ultima, si assiste a un film che vuole intrattenere, vuole divertire, vuole essere spettacolare, ma vuole anche far emergere che, sotto tutte le luci, le extension brillanti fra i capelli e le pellicce voluminose, c’è comunque una ragazza che vuole sognare. E che, per quanto ci provi, in fondo, spera solo di incontrare il suo lieto fine, in un modo o nell’altro.

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Giulia Nino
Classe 1996, cresce basando la sua cultura su tre saldi pilastri: il pop, i Simpson e tutto ciò è accaduto a cavallo tra gli anni ’90 e 2000. Nel frattempo si innamora del cinema, passando dal discuterne sui forum negli anni dell’adolescenza al creare un blog per occupare quanto più spazio possibile con le proprie opinioni. Laureata in Giurisprudenza (non si sa come o perché), risiede a Roma, si interessa di letteratura e moda, produce un podcast in cui parla di amore e, nel frattempo, sogna di vivere in un film di Wes Anderson.