La Zima del Signor di Alessandro Padovani, sceneggiatore e regista di origine bellunesi, distribuito da Nieminen Film e prodotto da Haapar, è stato selezionato nel programma ufficiale di Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, e presentato nella sezione Cortometraggi Panorama Italia Fuori Concorso.
La Zima del Signor è recitato in dialetto antico, nel cast troviamo Thierry Toscan (protagonista de Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti) l’attrice bellunese Grazia Capraro, diplomata alla scuola Silvio d’Amico a Roma, e con loro Valerio Mazzuccato, Carla Camporese, Massimo Scola, e la partecipazione speciale dei non attori professionisti Nelso Salton, Viola Capraro, Luciano De Nale, Luigi e Dorino Sebben.
Immerso tra le Dolomiti bellunesi, l’opera di Padovani è un sussurro che si pone tra terreno e spirituale: una suggestione visiva, sonora, che racconta della ricerca di un miracolo, e della disperazione umana.
Qui l’intervista al regista Alessandro Padovani.
L’intervista
La Zima del Signor è un film dal grande impatto visivo, ancorato al reale ma anche sospeso; quali sono state le tue ispirazioni cinematografiche in questo lavoro?
Le ispirazioni sono state da un lato un certo cinema di western contemporaneo, come Jauja di Lisandro Alonso o Re Granchio di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, dall’altro anche il ritratto di un mondo passato con l’intenzione di renderlo vivo e pulsante, tra il cinema di Ermanno Olmi e quello di Alice Rohrwacher, un cinema che secondo me riesce a unire mondo terreno e spirituale.
Realismo magico, western e mondo contadino sono inoltre tre generi che amo e in cui mi riconosco, ed ero curioso di provare a vederli insieme in un racconto originale.
La musica, e in generale il sonoro, escono dal tangibile per toccare una realtà spirituale, altra; quali sono state le indicazioni che hai dato ad Amorese per la realizzazione della colonna sonora?
La musica di Riccardo (Amorese, N.D.R.) è stata fondamentale, perché doveva rimandare a un mondo oltre lo schermo, creare un nuovo livello di racconto: un’operazione non facile, anche perché le prime reference musicali erano di Ennio Morricone!
Riccardo però si è subito calato nella storia, riuscendo a capire l’atmosfera che volevo restituire, tra epica e magia, trovando nello strumento a fiato il tema che risuona in tutto il film, e che richiama il fischietto giocattolo usato dalla protagonista Maria. Il sonoro poi è stato un altro grande lavoro fatto con Lorenzo Danesin (montaggio audio) e con Gianluca Gasparrini (mix): essendoci molti esterni in natura, c’è stata una grande ricerca sonora, dai versi degli animali notturni al suono dei passi sulla neve, e abbiamo fatto in modo che potessero bene unirsi alle musiche di Riccardo, creando una drammaturgia sonora.
Il finale restituisce un grande senso di accettazione, cosa volevi comunicare con il viaggio della protagonista e la sua intenzione di incontrare Dio?
Il finale è arrivato in modo casuale e magico. Il giorno delle riprese in alta montagna, sul passo Giau tra le Dolomiti, siamo stati sorpresi da una bufera di neve, non prevista dal meteo. Quando siamo arrivati le condizioni per girare erano proibitive: forti venti di ghiaccio e neve entravano sotto i vestiti, era davvero difficile proteggersi dal freddo.
In quel momento sono comparsi degli uccellini, dei passeri di montagna che si sono avvicinati, forse per fame, forse curiosi di capire cosa ci facessimo lì. Questo atto magico è quello che cerco nel cinema, qualcosa che ci sorprenda e che non ci aspettiamo. Quello che volevo raccontare in questo film è qualcosa di universale e laico, ovvero che è importante non perdere la speranza, tenerla viva come si protegge un lumicino dal vento, perché a volte il miracolo che ci accade non è quello che stavamo cercando.