Quanta paura fa Longlegs? Non è facile come sembra rispondere a questa domanda, eppure è quella che chiunque non abbia ancora visto il film di Osgood Perkins chiede senza ottenere un responso preciso.
L’indagine di una giovane agente dell’FBI tocca tasti occulti e inspiegabili. Alle prese con il suo primo caso importante, la donna va alla ricerca di un serial killer a piede libero, e in attività, da 20 anni. Il film è ambientato negli anni ’90, con completi pantalone abbondanti e scambi tra agenti che sembrano usciti da un episodio di X-Files, ma inizia nei 70s, in cui una bambina scopre un uomo inquietante proprio fuori casa sua, un uomo che conosce la data del suo compleanno, e che cerca di attrarla a sé.
Longlegs sta tutto nei primi minuti: la regia e il montaggio del film
La musica ci accoglie in un tempo passato, il testo di Bang a Gong (Get It On) dei T. Rex introduce le immagini stagliandosi su uno sfondo di un rosso accecante, e poi compare la casa: ciò che guardiamo sembra una vecchia polaroid in movimento (non a caso), in formato 4:3 che richiama un ricordo, o un incubo che non si riesce a dimenticare.
La costruzione registica attorno all’apparizione dell’assassino Longlegs (Nicolas Cage) si nutre di silenzi e rumori incomprensibili: quando parla con la bambina, che lo segue sul retro della casa, non vediamo il suo volto per intero, ma solo alcuni dettagli, giocati per favorire jump scares e suspence. I primi minuti del film sono sicuramente l’introduzione più convincente che si possa avere, e hanno molta più personalità del resto che seguirà.
L’atmosfera cupa dell’intero racconto si contrappone a questo inizio, di un bianco accecante e di un rosso che non può non far pensare a quelli saturi e abbaglianti di Dario Argento, e riesce grazie alla regia di Perkins (che firma anche la sceneggiatura) e al montaggio, a rimanere impresso come monito fino all’epilogo, che però cade in una serie di cliché horror sminuendo la potenza di una manciata di istanti impreziositi da aggressivi e penetranti titoli di testa.
In attesa di Nicolas, tralasciando il resto
Il difetto più grande di Longlegs è che tralascia una serie corposa di dettagli, a livello di sceneggiatura, di caratterizzazione dei personaggi, o addirittura di coerenza narrativa, per puntare tutto sul ruolo di Nicolas Cage e il suo rivelarsi al pubblico. Il racconto del battito cardiaco accelerato della protagonista al primo confronto con il suo villain vestito e truccato per impersonare Longlegs aspira a essere talmente accattivante da convincerci che il terrore ci si mangerà vivi e che non scorderemo più questa storia. Tuttavia la realtà dei fatti, e della realizzazione, si riduce a un’attesa montata e desiderata, di scene, fotogrammi, eventi, tutto in funzione di Nicolas Cage e della sua straordinaria trasformazione.
Non che non sia effettivamente straordinaria: lascia a bocca aperta, soprattutto chi è ancora convinto che Cage non sia un bravo attore (già con Dream Scenario in molti si sono ricreduti), ma questa ossessione visiva e descrittiva rende indimenticabile una maschera, una voce, di sicuro non un intero film.
A partire da Lee Harker (Maika Monroe); l’ispirazione a Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme è palese, e dichiarata anche dal regista, ma l’agente raccontata da Longlegs risponde a un trattamento abbozzato che ne limita le sfumature, mostrandola come una giovane donna a disagio con la socialità e le normali interazioni tra esseri umani e un intuito così acuto da avere sicuramente legami con l’occulto.
Le sue emozioni e sensazioni sono figurativamente tagliate con l’accetta, e non perché questo è un film horror ed effettivamente qualcuno userà l’accetta ad un certo punto, ma perché la sua personalità risulta così esigua da scomparire dietro a quella dell’assassino, volutamente debordante. Lee è molto lontana dalla psicologia di Clarice Starling, si direbbe volutamente.
Fammi paura davvero (spoiler alert)
Longlegs è un assassino che da anni sceglie come vittime ragazzine nate il 14 del mese, non si sa come le manipola e senza lasciare tracce dentro le abitazioni degli orrori ottiene il massacro totale dell’intera famiglia che vi abita. Su ogni scena del crimine lascia una lettera in codice, un messaggio criptato che in men che non si dica Lee riesce a decifrare grazie alla Bibbia, riuscendo a delineare un disegno geometrico che indica quando avverrà il prossimo omicidio-suicidio comandato. Tralasciando il fatto che proprio mentre sta decifrando la prima lettera qualcuno entra in casa sua e il giorno dopo al lavoro è come se nulla fosse, emerge un legame tra Lee e Longlegs. E guarda caso, anche Lee compie gli anni il 14 del mese.
Sarà perché sua madre continua a ripeterle al telefono che deve dire le sue preghiere per proteggersi dal male, sarà perché Lee possiede una chiaroveggenza inspiegabile (che poi verrà spiegata e dalla quale sarete delusi), proprio nella Bibbia trova immediatamente le risposte. L’intero film spinge su una manichea dualità di fare del bene e fare del male, rispettivamente per ordine di Dio o per il Diavolo. C’è l’immancabile citazione a Manson da parte di un agente e la musica rock con tanto di poster di Lou Reed appeso nel covo di Cage. Longlegs è dichiaratamente al servizio di Satana, come professerà fino alla fine, e la manipolazione che porta avanti da molti anni con il suo aiuto avviene attraverso delle bambole di dimensioni naturali che regala alle bambine scelte.
Bambole demoniache, rock and roll, satanismo vintage: qui viene frenata quella magia iniziale con cui Longlegs aveva rapito la nostra attenzione. Nonostante la regia di Perkins sia sofisticata e accurata, e il comparto sonoro renda ipnotica l’intera visione, a perdere vigore è la paura promessa dal primo trailer, dalle inquadrature vedo-non vedo dello sguardo di Cage, perché dopo decine di film sul tema non basta un protagonista eccezionale e una colonna sonora ben riuscita per conquistare chi sta guardando. Nel 2024 risulta datato, se non forzatamente retrò, mettere in mezzo Satana, seminare grossolanamente il dubbio sulla sua esistenza con effetti di ombre e suggestioni mai approfondite, sminuire i dettagli per rendere incisivo l’effetto wow.
In breve
A partire dal marketing precedente all’uscita, Longlegs si è alimentato di aspettative, lo stesso succede con la narrazione: sembra proprio che non sia rilevante la coerenza narrativa, la credibilità, nei limiti, della storia, anche se parla di Satana e di un disturbato maniaco omicida. La visione è abilmente confezionata in funzione del personaggio di Cage, che investe tutti i sensi, rimanendo però al servizio di una serie di cliché sulla rappresentazione che un servo del Diavolo dovrebbe avere (soprattutto a cavallo di due decadi così prolifiche sia per il genere in sé che per l’interesse all’occulto, gli anni ’70 e gli anni ’90).
L’operazione di Perkins è raffinata e misurata nella forma, ma priva di uno spunto narrativo incisivo, memorabile. Quanta paura fa Longlegs? Non troppa e cadenzata, l’inquietudine arriva quando si esce dalla sala e si continua a pensare alla voce di Longlegs e al suo disperato bisogno di piacere al maligno, e forse era questo l’unico obiettivo del regista.
L’illustrazione originale è di Cristiano Baricelli, che ringraziamo. Qui il suo sito ufficiale.