LA STANZA INDACO di Marta Miniucchi, Alice nella Città, GENOMA
LA STANZA INDACO di Marta Miniucchi, Alice nella Città, GENOMA

Marta Miniucchi ha presentato il suo nuovo lungometraggio, La stanza indaco, prodotto da Paolo Rossi Pisu, alla ventiduesima edizione di Alice nella Città, in un evento organizzato da Fondazione Marche Cultura – Marche Film Commission. Il film, scritto dalla stessa regista e da Davide Cocchi, è liberamente tratto dall’omonimo libro di Costanza Savini e Gianfranco Di Nino, edito da Il Ciliegio Edizioni.

La stanza indaco è ambientato in un reparto di terapia intensiva di Bologna, dove l’arrivo di un nuovo direttore mette in discussione le abitudini e gli equilibri di chi ci lavora e dei pazienti che lo vivono. Ciò che accade nel reparto va a condizionare la sfera personale di entrambi, anche quando tra due pazienti poco più che adolescenti, Romeo (Samuele Teneggi) e India (Desideria Cucchiara) nasce una storia d’amore. Si conoscono perché hanno i letti l’uno di fronte all’altra, si incontrano nella comprensione di un medesimo percorso, affrontato durante un periodo della vita che si scontra con l’idea di scomparire.

La malattia e la giovinezza trovano un dialogo di consapevolezza nel film, che è dichiaratamente dedicato a uomini e donne che gravitano attorno a questo mondo – come ha affermato la regista Marta Miniucchi – e che combattono ogni giorno: medici, infermieri, pazienti, parenti, amici. Lottano contro la malattia e, a volte, contro il pregiudizio. Così i personaggi cercano di stabilire la propria normalità.

«Un luogo apparentemente asettico come il reparto di terapia intensiva, è invece ricco di vita, non solo nel mio film ma anche nella realtà; in questo senso il confronto con il personale medico vero, infermieristico, paramedico, è stato molto utile a portarci piano piano in un mondo fatto di grande vita» aggiunge l’autrice.

La musica e il fuori

Se nel libro Romeo è un giovane violinista, nel film diventa un batterista che ha sempre le bacchette in mano, ritmando la sua permanenza forzata, gli incontri con lo psichiatra e i silenzi a cui è costretto. La presenza della musica è rilevante per ciò che vive fuori dall’ospedale e per il contatto con la realtà, che comprende i suoi amici, il gruppo a cui pensa spesso, ed è importante per la rappresentazione della malattia.

«Ci tenevo molto ad avere una musica che ci potesse trasportare, a tratti, altrove, anche perché è un po’ una necessità che si avverte, essendo La stanza indaco un film principalmente girato in interni» racconta la regista Marta Miniucchi, aggiungendo: «e gli amici di Romeo, che portano la musica dal vivo, e quindi una ventata di colore, di suono, dei pezzi della vita fuori fin dentro al reparto, ci aiutano ad avvicinarsi ai sensi del personaggio, che è costretto in l’ospedale ma che nello stesso tempo attiva tutta la sua sensorialità; con gli odori come quello dello shampoo, o con il suono come con la musica, che proviene anche dal suo telefono, dalla sua musica personale, che noi riusciamo a sentire. Questo ci permette di andare con lui in luoghi esterni, uscire, spostarci altrove».

I compositori del film, Gianmarco Verdone e Simone Santi, sono molto giovani, così come gli autori dei brani cantati, Rea e Filippo Santi, e con la loro musica determinano la comprensione dei sentimenti di Romeo, come quelli di India, approfondendo le sensazioni che vivono lì dentro.

Oltre alla musica un altro elemento fondamentale per raccontare le varie vicende legate al reparto è la credibilità della ricostruzione del luogo ma anche delle esperienze dei pazienti. «Il tema principale del film è l’umanizzazione delle cure, e si sviluppa per tutto il film e ci consente di raccontare tante storie, tutte in qualche modo condizionate da visioni che si scontrano, su come vivere e come far vivere la terapia intensiva, la malattia, la cura» precisa la regista, che come prima fonte di ispirazione ha avuto proprio il romanzo di Costanza Savini e Gianfranco Di Nino, quest’ultimo per molti anni è stato direttore del reparto di Terapia Intensiva al Policlinico Sant’Orsola (Bologna); lui in primis ha portato la regista e i protagonisti dentro l’ospedale grazie alla sua esperienza.

Anche altri medici, infermieri, si sono messi a disposizione della credibilità del film, sia in fase di scrittura, che in fase di set vero e proprio, questo ha permesso una verosimiglianza per quanto riguarda i contenuti ma anche le azioni.

Restituire spontaneità

I due protagonisti sono posti in una condizione in bilico, difficile da comprendere dall’esterno, ma quando si incontrano accade qualcosa di imprevisto in un reparto di terapia intensiva, e si innamorano. L’attrice Desideria Cucchiara racconta di quanto sia stato difficile entrare dentro a determinate tematiche, che non bastava studiare o fissare, bensì viverle, avvicinandosi a quello che può provare una paziente così giovane in quel tipo di situazione.

Approfondisce l’attrice: «Ci sono tante cose che si intrecciano nel film, come Romeo e India, che si incontrano quando non si penserebbe potessero farlo, o il mondo della fisica che incontra quello della musica, e provoca uno scambio tra due materie completamente diverse. Questi microcosmi si curano a vicenda, hanno entrambi delle cose da insegnarsi, ed è questo essere così diversi che unisce i protagonisti. Sono due ragazzi che si innamorano in modo puro e genuino nonostante le circostanze. Romeo e India avevano bisogno di incontrarsi».

«E il loro incontro avviene con grande naturalezza», tiene a precisare Marta Miniucchi, «il personaggio di India è molto puro, la fisica è la sua lettura del mondo, Desideria è stata brava a rendere questa freschezza nei contenuti così complessi della fisica, trasportandoci in una visione rasserenante».

Il tentativo de La stanza indaco è quello di raccontare un’intensa spinta alla vita, che può essere vissuta fino alla fine, in un luogo come l’ospedale, e i tanti modi in cui possa essere concepita la cura, riuscendo a trovare un racconto per accompagnare chi non sta bene.

Marta Miniucchi e Desideria Cucchiara, Rai Cinema

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.