“Cosa saresti disposto a fare per avere una versione migliore di te?” recita la tagline del nuovo film di Coralie Fargeat, The Substance, già premio alla Miglior Sceneggiatura a Cannes 2024.
Questa domanda, in realtà, viene subito intesa come retorica, esattamente come (troppa) retorica è ciò che permea le due ore di visione che promettono di essere una versione satirica del body horror e che, invece, lasciano diverse perplessità. Presentato alla Festa del cinema di Roma in anteprima italiana, arriva al cinema dal 30 ottobre.
La trama di The Substance
Elisabeth Sparkle (Demi Moore), star di Hollywood non più sulla cresta dell’onda, è relegata alla conduzione di programmi fitness del mattino e, compiuti 50 anni, viene messa da parte dai produttori del canale che la ritengono obsoleta.
Ferita soprattutto nell’orgoglio, Elisabeth viene a conoscenza di questa “sostanza” che, se assunta correttamente, permette di dar vita a una visione più giovane di sé, più bella, insomma considerabile migliore rispetto all’originale. C’è solo una cosa da tenere sempre a mente: anche se con due corpi, si è solo uno. Più facile a dirsi che a farsi.
La narrativa dell’inverosimile
Parliamo subito dell’elefante della stanza: quale è il criterio per cui Sue (interpretata da Margaret Qualley) dovrebbe essere “migliore” di Elizabeth? Con qualsiasi occhio lo si voglia guardare, in qualsiasi realtà, è semplicemente un errore troppo grossolano per essere ignorato: siamo seri, anche adesso Demi Moore è una delle celeb più belle del mondo, non c’è gioventù che tenga. A parte l’età, è forse già la scelta di casting a non reggere la premessa del film.
E qualcuno potrebbe pensare “come mai in un film sostanzialmente horror, pieno di elementi di fantascienza, questa discrepanza risulta così difficile da accettare?” e sarebbe un’ottima considerazione se non si tenesse conto della superficialità (giustificata con la satira, ma forse non abbastanza giustificabile) con cui è costruito tutto l’apparato horror-fantascientifico che vi è dietro. Anche senza voler fare i bacchettoni del realismo. Senza fare troppi spoiler, Sue nasce come adulta completamente formata e abile uscendo dalla schiena di Elizabeth. A confronto Alien è un documentario, insomma.
The Substance è un film che sfida ogni senso di logica e di plausibilità, lasciandosi andare completamente a questo tuffo in una disperata fantasia ma lasciando questioni di trama, di senso (SPOILER: dopo il secondo “rapido invecchiamento” causato da Sue, Elisabeth a malapena riesce ad alzarsi da una poltrona, ma quando viene ridotta al massimo della vecchiaia riesce ad uscire, correre, trasportare altri esseri umani, lottare), di narrativa (SPOILER: Sue che diventa la star più famosa del momento dopo aver condotto un solo episodio di un programma del mattino), tali da rivelare una sostanziale visione del pubblico come immaturo, incapace di apprezzare e comprendere un prodotto nemmeno complesso, banalmente articolato.
Infatti, il grande intoppo del piano di Elisabeth/Sue sta proprio nel fatto che pur essendo due figure distinte, rimangono una sola persona. Questo, tuttavia, non si incastra mai per bene con la struttura del racconto: Sue nasce da Elisabeth e conserva i suoi ricordi, ma allo stesso tempo nessuna delle due ha memoria di quello che l’altra fa durante “il proprio tempo” ed allo stesso tempo ancora riesce a ricordarlo abbastanza da sapere, per esempio, qual è il processo di creazione della propria derivata-migliore. Insomma, non proprio chiaro.
E dunque, se non possiamo avere una consecutio-temporum decente, almeno un briciolo di coerenza nella scelta del cast sarebbe stata apprezzabile.
Tutto già visto
Tuttavia, non è questa la cosa più grave. L’aspetto più fastidioso è la retorica già vista e assimilata in mille modi diversi da anni. La critica al beauty system, allo star system, alla forma mentis in generale per cui “essere visti=essere amati” è un tema talmente usato e abusato da essere ormai quasi eviscerato dal suo contenuto.
Abbiamo linee di abbigliamento, campagne alimentari, pubblicità di beauty product incentrare sul racconto che l’ossessiva ricerca della bellezza esterna è sbagliata, che bisogna combattere l’ageismo, che la diversità è la bellezza più grande, che gli standard imposti alle donne sono inverosimili e quant’altro. Senza contare quando, a partire da Il ritratto di Dorian Gray” fino a La morte ti fa bella, questo tema sia stato ampiamente attinto dall’universo cinema.
E proprio per questo, per andare a ottenere uno spazio in un ambiente già ampiamente sovraffollato, o si decide davvero di rischiare con sguardi che affrontano il tema da prospettive ancora inesplorate (si pensi a Sick of Myself) oppure, quanto meno, si evita di trattare il pubblico un destinatario come assente o ignorante. Purtroppo, la regista Coralie Fargeat non sceglie di percorrere nessuna di queste due strade.
In breve
The Substance è derivativo, banale, un horror che non fa paura e punta in maniera eccessiva sull’abuso del sangue scenico. Certo, ovviamente meglio questo che l’ennesimo remake o sequel di storie già raccontate, ma vista la poca fantasia, brillantezza o semplicemente ironia nel rappresentare questo prodotto, viene da chiederci: siamo sicuri che non sia un remake?
Forse anche questo, come le protagoniste del film, pensa di essere un film a sé stante, migliore dei precedenti, dimenticandosi che è comunque “solo uno” con tutti i lavori già usciti.