Parthenope, PiperFilm

Paolo Sorrentino è tornato, è accaduto con la sua Parthenope, raccontando la giovinezza attraverso la bellezza.

Il film è stato presentato in concorso durante la 77 edizione di Cannes, è una co-produzione Italia-Francia. Scritto e diretto da Paolo Sorrentino, è un film Fremantle prodotto da The Apartment Pictures, una società del gruppo Fremantle, e Pathé in associazione con Numero 10, in associazione con PiperFilm e Saint Laurent. I produttori sono Lorenzo Mieli per The Apartment Pictures, una società di FremantleAnthony Vaccarello per Saint LaurentPaolo Sorrentino per Numero 10 e Ardavan Safaee per PathéDouglas Urbanski è il produttore esecutivo.

La trama di Parthenope

La storia di Parthenope ha inizio con la nascita della sua omonima protagonista, avvenuta nel 1950, e vede ripercorso tutto il lunghissimo repertorio della sua esistenza: la spensieratezza, la bellezza, il suo cambiamento inesorabile, gli amori inutili e quelli impossibili, i flirt stantii, i baci nelle notti di Capri, i lampi di felicità e i dolori persistenti, i padri veri e quelli inventati, la fine delle cose, i nuovi inizi.

Intorno a lei uomini e donne vissuti, osservati, amati e sempre in compagnia dello scorrere del tempo e di una Napoli che ammalia, incanta, urla, e poi ferisce.

Sorrentino ritorna alla sfumatura irriverente e accattivante

Il suono del mare, la cornice prorompente del golfo, e la spontaneità della giovinezza; è così che inizia il nuovo lavoro di Paolo Sorrentino, con una ragazza di nome Parthenope e una sigaretta consumata tra le dita che ha il sapore del sale, di una Napoli che si spoglia, e che odora di primavera e di amori poveri, morti e fallaci.

Se con È stata la mano di Dio il regista si dona con affezione e privo di orpelli, in Parthenope cambia nuovamente registro innervando tutta la sua poetica. Sorrentino ritorna alle parole di Céline, alle sfumature, alle sofisticate acrobazie intellettualistiche, all’irriverenza accattivante nell’uso della musica che si perfeziona nel gioco di luci e ombre, riproponendo un’estetica cinematografica che reclama un quadro visivo sensoriale che vada oltre la sola immagine.

Ci si trova davanti ad un film colossale, denso, blasfemo, erotico, che fa male, e che è bellissimo. Parthenope racconta 73 anni di vita di una donna, che forse in passato è stata giovane, viva e sola, libera e frivola, anche se “è durato poco”.

Parthè sei diventata presuntuosa

No, sono diventata adulta

Parthenope, la giovinezza libera e spontanea

Non esistono sirene nel film di Sorrentino, ma una fanciulla di straordinaria bellezza che nasce dal mare, seduce, e fluisce negli anni tra le intercapedini di insolente e sfacciata giovinezza, servendosi inconsapevolmente, o forse no, dell’inesorabile spietatezza antropologica della seduzione. 

Celeste Dalla Porta, in un’interpretazione eccezionale, attua un processo di reinvenzione del mito della sirena, senza mai far dimenticare la leggenda. Si sa, l’epopea è mistero, e Parthenope lo è soprattutto nella maestria dell’incantare e poi uccidere, trascinandosi dietro tutte le sue colpe. Colpe espiate con il dolore e la caducità del tempo, ma perdonatele da tutti “perché lei era troppo per un uomo solo. Mi tradì dando ragione in un colpo solo a tutta la sterminata discografia di Riccardo Cocciante” (da Hanno tutti ragione, di Paolo Sorrentino).

È ben lontano il ricordo della giovinezza restituito da Youth, dove lo sguardo su di essa era nostalgico e compassionevole. Questa volta, Sorrentino confessa e rielabora il desiderio di vertigine della gioventù mai vissuta. La ripensa istintiva, distratta, incurante del futuro, e che miete vittime trafitte dall’illusione che l’amore possa essere salvacondotto e sopravvivenza; ma in realtà gli amori giovanili sono solo portatori sani del fallimento, o forse no?

A cosa stai pensando?”, una domanda che ricorre ossessivamente. Dall’Apparato Umano di Jep Gambardella, al corso di antropologia di Parthenope, pare che da più di dieci anni, il sillogismo sorrentiniano sia mosso in modo perscrutabile da una sana e banale curiosità umana, un voyeurismo totalizzante, analitico, seducente, che si concentra sull’individuo, sul suo comportamento, sui corpi nudi, e sul miracolo dell’indulgenza delle anime perse e interrotte.

Parthenope, PiperFilm

La bellezza è come la guerra, apre le porte” 

Beauty is like war, it opens doors”, dice John Cheever (Gary Oldman) a Parthenope, che tra personali lotte interiori e diversi bicchieri di gin, ricrea un incontro delicatissimo di due anime in cui una guarda indietro rispetto alla vita, e l’altra in avanti.

Lo scrittore statunitense tratteggia spiritualmente le linee sinuose della bellezza disarmante, capace di aprire qualsiasi porta nel mondo, e la protagonista si avvale della libertà di spalancarle tutte. Una bellezza ineluttabile, atipica, che si sviluppa dall’elemento germinale del goffo, del grottesco e del profano; idiomatica, impunita, a tal punto da trasmutare l’erotismo in tenerezza, da suscitare pulsioni morbose e incestuose, e da essere più venerabile di Dio.

Sin da The Young Pope e da The New Pope, Sorrentino ha sempre mostrato fascinazione verso la magniloquenza della Chiesa e dei prelati, e questo gli consente di attraversare un terreno conosciuto, e di restituire al pubblico il personaggio del Vescovo Tesorone (Peppe Lanzetta), tra i più sacrileghi del suo cinema, e per mezzo del quale fa compiere il vero miracolo di San Gennaro con la depravazione umana del peccato; nessun bluff, nessuna alterazione chimica, soltanto il mistero della fede che si traspone nel mistero di Parthenope

Napoli diva, libera e sfacciata

Sorrentino ritorna a Napoli e ci rimane: una Napoli che accarezza e ferisce, che è paradiso e inferno, e che, come la protagonista, si presenta libera e sfacciata. Una città che mette in atto la continua e tracotante recita di sé stessa, perché si sente diva più di tutte le altre dive senza lasciare spazio a nessun’altra, e l’attrice Greta Cool (Luisa Ranieri), nel pieno disfacimento artistico, lo sa molto bene. È impossibile competere con l’abilità teatrale e teatrante di questa città, dove ogni occasione è buona per allestire palcoscenici barocchi, sui quali perfino la copula tra giovani camorristi, diventa uno spettacolo degno di pubblico plaudente. 

Non ci si può misurare con Napoli, luogo in cui la risposta vera si sacrifica al cospetto di quella ostentata, giusta e “ad effetto”.

Bisogna anche un po’ odiarla questa città, che tormenta con i suoi segreti e annienta e mortifica con il peso della troppa bellezza; e Raimondo (Daniele Rienzo), fratello di Parthenope, l’aveva capito da sempre; il ragazzo fragile che in realtà vede e conosce tutto

È impossibile essere felici nel posto più bello del mondo.

In breve

Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto

(Louis – Ferdinand Céline).

Nel film non c’è nostalgia, e neanche malinconia. Sorrentino tralascia il volto tenero della giovinezza, e si concentra sulla libertà e l’imperfezione di essa.

Il personaggio di Parthenope non vuole lacrime di commozione, non pretende di fare emozionare, ma solo di mostrare che la vita accade, con i suoi aspetti irrilevanti e decisivi, nella sua più totale spontaneità ed enormità.

Continuate a seguire FRAMED per altre recensioni. Siamo anche su FacebookInstagram e Telegram.

Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.