Giacomo Ciarrapico, Ninni Bruschetta, Antonio Catania e Andrea Sartoretti giovedì 12 settembre hanno inaugurato C’era una volta Boris, l’omaggio di tre giorni dedicato alla serie tv di culto Boris e a Mattia Torre, organizzato dal Tuscia Film Fest a Viterbo.
Insieme al direttore artistico dell’evento Enrico Magrelli, hanno trasportato i numerosissimi fan (l’evento ha registrato il sold out per tutte le serate) nel mondo “patologico” ed esilarante di Boris, partendo dall’inizio della serie, fino ad arrivare alla quarta stagione, lasciando un margine di speranza per una quinta e regalando tantissimi aneddoti.
L’arrivo di Boris: un’astronave da un altro mondo
Risultato di talento e coincidenze fortunate, che Ciarrapico (sceneggiatore e regista della serie) non si astiene dal definire un misto di talento e culo, Boris arriva nel 2007: Come un’astronave da un altro mondo, a livello di narrazione, di invenzione, ma anche di creatività e di libertà, dice Magrelli, arriva a scardinare il panorama seriale preesistente con un racconto unico proprio per merito di questa libertà profondissima.
A determinare la sua nascita, afferma Ciarrapico, è anche un vuoto editoriale che era presente in Fox in quel momento, che ha permesso di realizzare una serie di fatto fuori controllo; la maggiore libertà proveniva anche dal fatto che i tre autori avevano la certezza che nessuno l’avrebbe vista, certezza che si è notevolmente affievolita con la quarta stagione revival, per cui l’asticella delle aspettative era altissima poiché Boris era già un cult. Ma non è solo la libertà a caratterizzare la serie, la quale si inserisce in un contesto politico particolare, che Ciarrapico definisce un clima da fine impero, in cui l’Italia era il paese più televisivo del mondo con la televisione più brutta del mondo.
In un’atmosfera collettiva di rassegnazione al brutto, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo riflettono su quanto avesse una valenza politica parlare di televisione, avendo in quel momento anche la possibilità di pensare, scrivere, recitare e montare la serie come volevano (una cosa quasi impossibile oggi se si parla di piattaforme dove i prodotti si devono in qualche modo sempre assomigliare).
L’esordio di Boris andò poi malissimo, portando i tre autori a interrogarsi sul fatto che fosse troppo indirizzato agli addetti ai lavori, ma a definirne il cambiamento radicale in oggetto di culto è il cambiamento che nel tempo ci ha fatto diventare un po’ tutti registi; l’uso costante del cellulare per filmare, montare, fissare immagini ed eventi, ci ha portato nella dimensione di René Ferretti, ed automaticamente Boris è entrato nelle case delle persone non più come una serie per i lavoratori del settore televisivo e cinematografico.
Boris non è per gli addetti ai lavori, ma per gli addetti al lavoro, aggiunge Andrea Sartoretti (nella serie uno dei tre sceneggiatori), spiegando come Ciarrapico, Torre e Vendruscolo fossero riusciti a rappresentare la verità come molti anni prima era riuscito a fare Paolo Villaggio con Fantozzi, attraverso il racconto del mondo del lavoro. Continua Sartoretti: Sebbene lui l’avesse fatto in modo più caricaturale, e loro documentario, Boris riproduceva delle situazioni che si riscontravano addirittura a scuola, per quello anche molti adolescenti ci si sono riconosciuti.
Boris come unicuum narrativo (e politico)
Quando si ride non si pensa troppo agli aspetti politici, che invece è ciò che Boris mette in campo: così il direttore artistico introduce uno degli aspetti più importanti della creatura di Ciarrapico, Torre e Vendruscolo.
Per Ninni Bruschetta (interprete di Duccio Patanè) Boris ha costituito per il cast una condivisione politica, comunicando tematiche importantissime, scarsamente affrontate nel nostro Paese, oltre a portare un rigore incredibile in ambito di scrittura (apprezzata anche da Roberto Herlitzka, come ricorda l’attore). E sottolinea quanto sia importante non aver paura di usare il termine successo: Perché successo significa anche accadimento, e Boris è una cosa che è accaduta e che ha lasciato il segno, cambiandoci la vita.
Boris ha avuto il coraggio di raccontare una verità che era comune a molti, descrivendo anche il vuoto della televisione italiana, come lo definisce Antonio Catania (nella serie Lopez, il delegato di rete e produttore esecutivo), che come gli altri interpreti conosceva bene quel vuoto attorno cui tutti si fanno in quattro per fare in modo che quel rubinetto, costantemente aperto, che era la proposta televisiva non smettesse mai di scorrere, a discapito della qualità o delle idee. Così nascono prodotti come Gli Occhi del Cuore, scherza l’attore, e la sciatteria narrata non si limita più all’ambito dello spettacolo, ma diventa una rappresentazione del mondo del lavoro in generale.
E a renderla ancora più cinicamente divertente è quella che Ciarrapico definisce una liposuzione totale dei sentimenti, imposta come obbligo dal primo momento, per contrastare l’eccesso dei sentimenti presente nei film e nelle serie TV, dicendo che se in Boris qualcuno dice a qualcun altro ti voglio bene, sta mentendo.
Gli altri appuntamenti di C’era una volta Boris
Venerdì 13 settembre appuntamento con Paolo Calabresi (il capo elettricista Biascica), Eugenia Costantini (Cristina Avola Burkstaller, la “nuova star” de Gli occhi del cuore 2), Carolina Crescentini (Corinna Negri, la protagonista femminile de Gli occhi del cuore 2), Carlo De Ruggieri (Lorenzo, lo stagista della fotografia tanto schiavizzato quanto appassionato del suo lavoro) e Massimo De Lorenzo (un altro dei tre sceneggiatori); con loro l’altro regista della serie Luca Vendruscolo.
La chiusura di sabato 14 settembre sarà dedicata a Mattia Torre. A questo poi ci pensiamo è il titolo della serata e dell’ultima raccolta di pezzi postumi di Torre, uno dei tre sceneggiatori e registi di Boris, scomparso nel 2019.
C’era una volta Boris è organizzato dall’Associazione Cineclub del Genio di Viterbo nell’ambito degli eventi estivi del Tuscia Film Fest e in collaborazione con l’Italian Film Festival Berlin.