The Order. Foto di Michelle Faye
The Order. Foto di Michelle Faye

Presentato nella selezione ufficiale della Mostra del Cinema di Venezia 2024, The Order è il nuovo film del regista australiano Justin Kurzel.

Passato abbastanza inosservato al Festival, è un racconto che trova nei codici del thriller poliziesco la ricetta per il successo. Ricollegandosi alla vera storia dell’organizzazione terroristica neonazista “The Order“, prende ispirazione da serie come True Detective (la prima stagione, ovviamente) avvalendosi di un’estetica che va a togliere, desaturando anche la narrazione, e privando il male della sua eccezionalità.

A rendere interessante il film di Kurzel è che il forte legame con la realtà non lo rende necessariamente un film politico; al di là dei fatti raccontati, rispetta i principi di una storia che si basa su una serie di indagini, su un rapporto tra due poliziotti, sul pericolo di un gruppo criminale pronto ad attaccare le istituzioni senza timore di spargere sangue. La semplicità è la chiave per ritrarre l’ascesa del suprematismo, e Kurzel sta dicendo a chi guarda: questa è ormai la normalità, ed è strano che ancora non ti faccia paura che sia tale.

The Order. Foto di Michelle Faye

La logica della caccia (la questione personale)

L’agente dell’FBI Terry Husk (un credibilissimo Jude Law) si mette sulle tracce del gruppo neonazista guidato da Robert Jay Mathews (Nicholas Hoult). Siamo nel 1984 nel nordovest degli Stati Uniti, eppure ciò che accade poco si allontana dall’attualità. Il flusso narrativo nella sua interezza danza una coreografia priva di eccessi o passi falsi, ma non è la danza a cui fa riferimento Husk, bensì la caccia, come ordinata pratica alla quale dedicare attenzione e rigore, per ottenere infine il premio, l’obiettivo: la testa della propria preda appesa ad una parete.

Ma chi è veramente la preda e chi il cacciatore? La ricerca dell’agente inizia come la più classica delle storie poliziesche: un trasloco lontano da casa, chiamate senza risposta a moglie e figlie lontane, l’intuizione che non sia la prima volta che l’uomo rinuncia a tutto il resto per catturare i cattivi. In questa provincia di tonalità spente e routine opprimente, una serie di violente rapine in banca e a mezzi blindati (e in più varie operazioni di contraffazione), attirano l’attenzione di una squadra speciale, ma non quella della svogliata polizia locale, escluso l’agente Jamie (Tye Sheridan). Il ragazzo affianca Husk, e i due diventano partner nell’indagine, ma fra loro s’instaura anche un rapporto tra maestro e allievo più giovane.

Il ritmo della caccia non prevede perdite di tempo, Husk punta al suo obiettivo, temperato dalla moltitudine dei casi della sua vita, tralasciando le implicazioni politiche o religiose, ricercando solo risposte ovunque possa trovarle. Il suo giudizio tende ad essere sospeso di fronte all’urgenza di catturare Mathews e la sua organizzazione. E nel ruolo del giovane carismatico, ottuso e nazista, si cimenta Nicholas Hoult, riuscendo nell’impresa di suscitare un’insieme di emozioni e reazioni contrastanti, umanizzando fin dove è possibile la sua figura.

The Order. Foto di Michelle Faye

Il dilagare degli estremismi neonazisti (la questione sociale)

Di politiche (sbagliate) si parla con disarmante normalità, così The Order mette in scena la rivalsa del gruppo neonazista come un presagio del futuro, come un monito: tutto questo è vicino a noi, coinvolge il nostro vicino, confonde la percezione del reale e proviene da persone comuni. Il film si basa sul saggio del 1989 The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, che tratta del gruppo di estrema destra più pericoloso emerso dai tempi del Ku Klux Klan, formato da uomini e donne convinti delle loro idee razziste e accecati da discutibili opinioni sulla famiglia e la patria (Matthew era il primo ad avere una relazione parallela a quella coniugale solo per portare avanti la sua legacy).

Il saggio racconta le origini del gruppo guidato appunto da Robert Jay Matthew, e nasce dalle ricerche portate avanti da Flynn e Gerhardt dopo l’uccisione di Alan Berg, il primo nome sulla lista degli assassini dell’ordine suprematista bianco. Il film inizia proprio con le parole di Berg, conduttore radiofonico di origini ebraiche, apertamente ateo e liberale, ucciso il 18 giugno 1984 da 12 colpi di mitragliatrice. Il ruolo è affidato allo stand-up comedian, podcaster e attore Marc Maron, che molti conoscono per il suo podcast WTF with Marc Maron ma anche per il personaggio di Sam Sylvia in Glow.

Le radici del male si estendono fino a noi, precisamente fino al 6 gennaio 2021, giorno dell’assalto dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill, quando vennero appesi di fronte al Campidoglio dei cappi, ispirati all’insurrezione descritta in The Turner Diaries, il romanzo degli anni Settanta che lega il presente al passato. Questo libro, scritto da William Luther Pierce, fondatore e presidente della National Alliance (altro gruppo neonazista a sostegno di uno Stato bianco), viene letto come favola della buonanotte da Matthew a suo figlio, e circola di mano in mano come un manuale di morte e distruzione, mascherato da racconto metaforico rivolto anche ai bambini.

In The Order viene indagata quella prima fiammata d’odio nell’era moderna, e dove Husk cerca solo di portare a termine la sua operazione di caccia, il giovane agente Jamie, parte di una nuova generazione di poliziotti e di americani, difende la sua famiglia e combatte per una serie di diritti che sente sempre più scivolosi tra le mani. Qui il divario tra la vecchia guarda e un nuovo pensiero comunica a chi guarda il senso del cambiamento, dalla parte della violenza, ma anche da quella intenta a mantenere la pace.

In breve

The Order non ha attirato l’attenzione del pubblico di Venezia 81 perché non fa dell’autorialità o del valore politico il fulcro del suo racconto. Kurzel sceglie di realizzare un thriller classico, ben fatto, in cui paura e adrenalina si mischiano a razzismi attuali e idee che arrivano fino a noi. Non accantona l’umanità dei suoi personaggi, ai quali non fa sconti, né da una parte né dall’altra.

E riflette pericolosamente sul presente, in cui il romanzo del neonazista William Luther Pierce fa la sua comparsa attraverso raccapriccianti simboli esibiti al Campidoglio. Tutto questo è un poliziesco con Jude Law, ma è anche la Storia che si ripete.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.