Angelina Jolie in Maria di Pablo Larraín
Angelina Jolie in Maria di Pablo Larraín. Courtesy of La Biennale/01 Distribution

Dopo l’esperienza dello scorso anno al Lido con il divisivo El Conde, Pablo Larraín torna su un terreno a lui familiare con Maria, biopic sulla figura dell’eterna Maria Callas. Con Maria il regista e sceneggiatore cileno firma il terzo capitolo della sua trilogia (per ora) dedicato alle vite di donne importanti della storia, iniziato con Jackie nel 2016 e proseguito nel 2021 con Spencer.

Super protagonista del lungometraggio è Angelina Jolie, che veste i panni di Callas, accompagnata da Kodi Smit McPhee, Haluk Bilginer e le presenze italiane di Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher nei ruoli dei suoi fidati domestici Ferruccio Mezzadri e Bruna Lupoli.

Maria o “La Callas ”

Quattro anni dopo essersi ritirata dalle scene, Maria Callas (Angelina Jolie) vive gli ultimi giorni della sua vita e, precisamente durante l’ultima settimana che porterà poi alla sua improvvisa morte, decide di ripercorrere con l’aiuto di un giornalista, le tappe fondamentali di una vita ricca di alti e bassi.

Durante questo viaggio introspettivo profondo, Maria si trova a riflettere sulle sue relazioni più significative, come quella con la sorella e con l’imprenditore greco Aristotele Onassis (Haluk Bilginer), ripensando al contempo alla relazione più importante, duratura e vera della sua vita: quella con la musica, che ancora non riesce ad abbandonare.

Saper raccontare bene, e senza cadere nelle banalità o negli artefici, la vita di una tale icona non è semplice, e questo Pablo Larraín già lo sa, ma come accaduto con Jackie e con Spencer, anche questa volta non delude le aspettative.

Maria non solo è un racconto profondo ed emozionante sugli ultimi giorni, quelli più intensi, della vita della cantante, ma è anche una lettera di addio che la stessa Maria Callas sembra scrivere mentre racconta.

Angelina Jolie in Maria (Venezia 81) Credit: Pablo Larraín
Angelina Jolie in Maria (Venezia 81) Credit: Pablo Larraín

Un addio a un mondo che le ha portato gioia e delusione, che Maria decide di suggellare al suono delle sue arie più importanti, facendo ciò che le riesce meglio: cantare.

Una delle questioni su cui il lungometraggio pone più attenzione è proprio la costante distinzione tra la figura di Maria e la figura di “La Callas”. Da un lato la persona, il lato più intimo della donna, quello più vero, mentre dall’altro l’artista che il pubblico conosce, quella che ha imparato ad amare attraverso la sua musica, le doti canore ma soprattutto la sua voce.

Due figure ben distinte agli occhi di chi la conosce di persona e di chi la conosce solo attraverso le sue performance, ma al tempo stesso due figure ben distinte anche per lei, che rimarca costantemente questa divisione, almeno fino alla fine quando le due si fondono dimostrando che in fondo Maria è sempre stata “La Callas” e viceversa.

Maria, vivere nel dolore

Quello che la Maria di Angelina Jolie compie all’interno del lungometraggio è un viaggio introspettivo che fa riaffiorare parti di sé sconosciute, nascoste volontariamente, piene di dolore e sofferenza. Viene infatti mostrata la sua difficile giovinezza, così come le complicate relazioni che instaura una volta adulta, una su tutte con Aristotele Onassis, che come mostrato più volte nel corso del film, non l’ha mai apprezzata realmente per la sua vera natura.

Una tristezza e un mal di vivere costantemente rimarcati dal volto e dalle espressioni della protagonista che trova la vera felicità solo nel momento in cui si può esprimere cantando.

Il corpo e la voce di Angelina Jolie

In Maria tutta l’attenzione è puntata su Angelina Jolie, che calca la scena senza paura di osare, in una delle performance migliori della sua carriera. I personaggi secondari, come quelli interpretati dai due fuoriclasse italiani Favino e Rohrwacher, volontariamente ne restano a distanza, non provano nemmeno a raggiungere la Callas di Jolie, lasciandole il suo spazio sotto ai riflettori e accompagnandola in disparte in questo suo drammatico viaggio, senza mai intervenire. A causa forse della stessa Maria che non glielo permette.

Maria va incontro all’inesorabile accettazione di quanto le sta per accadere, la morte, a testa alta e con solennità.

In concorso per il Leone D’Oro, il lungometraggio di Pablo Larraín è uno tra i più convincenti di questa Mostra che, almeno nei primi giorni, fatica ancora a ingranare. Un tributo sincero a una donna che ha fatto la storia senza mai aver mostrato paura di essere se stessa.

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Rebecca Fulgosi
Mi chiamo Rebecca, classe 2000 e ho una passione smisurata per il mondo della settima arte. Studio alla facoltà di Beni Culturali con il sogno di diventare critica cinematografica, perché guardare film è una delle cose che mi riesce meglio. Il mio genere preferito è L’horror insieme ai cinecomic di cui sono appassionata sin da piccola. Tra i miei film preferiti: "La La Land", C’era una volta a ...Hollywood", "A Star is Born", "Jojo Rabbit" e "Titanic". Le mie serie preferite, "American Horror Story" e "La casa di carta".