Autore del manifesto e della sigla della 60esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Gianluigi Toccafondo incontra il pubblico del Festival prima con un focus dedicato ai suoi lavori al Teatro Sperimentale di Pesaro, poi in un dialogo con il curatore Pierpaolo Loffreda.
Il suo lavoro spazia dai corti d’animazione a spot pubblicitari, passando per il videoclip. Ha creato sigle per Rai e Fandango, ma anche per la Biennale di Cinema di Venezia nel 1999 per la 56esima edizione. Ha lavorato inoltre come illustratore per molte case editrici e riviste, e collaborato con il Teatro dell’Opera di Roma, per cui ha realizzato i manifesti di varie stagioni di lirica e balletto, nonché costumi e scenografie per alcune opere, tra cui Il barbiere di Siviglia, Rigoletto e Don Giovanni. E’ stato aiuto regista del film Gomorra di Matteo Garrone.
Materia in trasformazione
Il primo film d’animazione l’ho visto nel laboratorio di mio padre; quando lavorava al tornio e cambiava le forme.
Gianluigi Toccafondo
Le immagini si legano alle parole, si sciolgono come in un magma vibrante di colori nel racconto di un’esperienza artistica che travalica i confini delle tecniche, abbracciando l’immagine cinematografica e quella pittorica, producendo un senso multiforme e denso, come la materia artistica di cui Toccafondo fa uso. Prima la formazione artistica: l’esperienza di crescere a stretto contatto con la materia in continua trasformazione grazie al laboratorio di ceramica di suo padre, dove ha sempre avuto a disposizione una molteplicità di strumenti, poi l’Istituto d’Arte di Urbino (dove si diploma verso la metà degli anni ’80).
L’incontro con il mondo dell’animazione arriva dopo essersi trasferito a Milano, lì inizia a collaborare con altri ex studenti della scuola di Urbino e ha la fortuna di lavorare con un artista slavo, autore di molti dei Caroselli che guardava da bambino, proveniente dalla Scuola di Zagabria. Accanto a lui impara moltissimo sulla tecnica dell’animazione. I primi anni lavorativi sono vari e ricchi di esperienze diverse per Toccafondo: passa dalle illustrazioni per prodotti alle copertine di libri, lavorando spesso ad animazioni per la pubblicità. Le cose più interessanti arrivano dalla televisione, in particolare dalla Rai, che commissiona a lui e ad altri artisti delle sigle. Pochissimo tempo per realizzarle, ma una grande libertà espressiva; lì inizia a lavorare con le immagini fotografiche e mette insieme le due anime di quello che sarebbe diventato il suo progetto artistico.
Al tempo tutti gli studi d’animazione usavano del materiale fotografico per la base dei progetti, era la preparazione su cui ricostruire i movimenti, ma guardando i materiali Toccafondo si accorge di quanto siano più interessanti quelle fotocopie stropicciate, impiastricciate, piuttosto del lavoro finale, molto pulito, edulcorato, con colori piatti. Lì comincia ad elaborare il sistema di fotocopiare il materiale dal vero: all’epoca affittava VHS, in particolare ricorda quella di Buster Keaton, del quale studiava i movimenti, fotografando dal monitor i fotogrammi; scomponendoli, ingrandendoli, disegnandoli, dipingendoli. Così nacque il suo primo lavoro d’animazione.
Cosa significa attraversare le immagini
Chiunque abbia visto i lavori di Gianluigi Toccafondo sa quanto l’immaginario cinematografico sia per lui importante, un immaginario molto vario ed elaborato. Quando inizia ad utilizzare immagini fotografiche si interessa a film che contengano danze, balli, come quelli di Fred Astaire e Ginger Rogers, poi li mescola alle immagini di Muybridge, per lui una grande fonte di ispirazione. Nutre una forte attrazione per tutto il cinema noir, di cui menziona M di Fritz Lang, in particolare per la gestualità di Peter Lorre, drammatica e comica allo stesso tempo, su cui è tornato più volte (sia per una serie sul cinema che per un cortometraggio, e anche per la sigla realizzata per Ridley Scott).
Il lavoro sui film continua anche dopo, sempre in Rai, con il lavoro con Marco Giusti, che gli fa conoscere un certo cinema degli anni ’70, come quello di Tomas Milian; lì Toccafondo inizia a disegnare anche digitalmente (abbandonando però quasi subito la nuova tecnica per la mancanza di spontaneità e casualità che invece sono parte del processo creativo manuale).
Il cinema attraversa tutta l’opera dell’artista, è cangiante e si trasforma, parla una lingua fatta di forme e colori. Si trasla attraversando le immagini, con un dinamismo composto di deformazioni e trasformazioni, suoni e sfumature. La fisicità della sua pittura permette di entrare nella struttura del colore, nel senso delle immagini che velocemente si allungano, si stirano, assumono tratti animali, mostruosi.
Lo dimostra il lavoro sulla sigla del PesaroFF60, un lavoro sui volti del cinema con riferimenti agli anni ’60: prima i mostri, come Dracula, compaiono sullo schermo, poi una ballerina che ricorda Betty Boop prende le sembianze di Toshirō Mifune, che di nuovo si trasforma in Catherine Deneuve, fino a tornare alla macchina da presa, all’occhio che osserva i film nella loro fluida mutevolezza.
Attraversare le immagini significa per Toccafondo passarci letteralmente in mezzo, farle proprie e riproporle, legandole in un’inarrestabile coreografia di figure dove la consistenza della materia diventa tratto significante.