Il bagliore carico di colore saturo si accende in una distorsione sonora che ricorda una mattina appena sbocciata dopo una notte piena di sogni: All of Us Strangers, scritto e diretto da Andrew Haigh, è un film enigmatico e prepotentemente onirico, che attinge all’estetica analogica e ricca di consistenze di un’era cinematografica che abbiamo lasciato al passato; tutto è in divenire perché è la mente a fare il suo gioco, andando e soffermandosi, alla ricerca della memoria. Distribuito a dicembre 2023 nelle sale statunitensi (e nelle sale italiane il 29 febbraio), si è già aggiudicato sette British Independent Film Awards. Sarà senza dubbio una delle opere più interessanti del 2024.
Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Taichi Yamada del 1987, e già riadattato per il cinema da Nobuhiko Obayashi nel film The Discarnates del 1988, All of Us Strangers vi rimarrà dentro come un ricordo che cambiando forma nel tempo, continua a far male, come un sibilo, come una luce stroboscopica sparata nel vostro inconscio.
Solitudine in mezzo a mille luci
Adam (Andrew Scott) è uno sceneggiatore in crisi, vive a Londra ma prevalentemente sta chiuso in casa, intorno a lui le luci si alternano, vivono, si incontrano, mentre l’unico chiarore che gli illumina il volto è un PC fisso sulla pagina bianca. Nel condominio quasi vuoto in cui vive, nota un uomo, Harry (Paul Mescal), che accorgendosene bussa alla sua porta con una bottiglia e la voglia di passare la notte insieme a lui. Qualcosa però lo blocca, e rifiuta la proposta del vicino di casa chiudendosi nuovamente solo nel suo spazio protetto.
Non è unicamente timidezza, ma un qualcosa di più radicato e importante, un blocco le cui cause sono da ricercare nel passato, in particolare nei traumi di un incidente che gli ha cambiato la vita segnando un punto di non ritorno, tracciando una linea netta tra passato e presente. La notte di Natale dei suoi 12 anni i genitori di Adam (Jamie Bell e Claire Foy), morirono in un incidente stradale mentre lui dormiva nel suo lettino. E se il lavoro dello scrittore è quello di fissare nero su bianco la propria esperienza, trasformandola, plasmandola, questa diventa oggetto di una ricerca spasmodica del ricordo, l’unica cosa che gli rimane, immaginando di avere ancora qualche giorno da passare con le persone più importanti della sua esistenza.
Adam torna alla vecchia casa dei suoi, in un borgo a sud di Londra, e come se non fosse passato neanche un giorno li trova pronti ad accoglierlo. Una visione? Un sogno? Qualcosa di inspiegabile da un punto di vista logico: l’uomo si addentra nel tessuto pericoloso del desiderio che trascende la morte, prigioniero di una memoria che diventa un loop.
Tornare indietro per fissare i ricordi
Nonostante un primo maldestro approccio, Adam si avvicinerà a Harry, condividendo con lui parte della sua vita, ma non quella più problematica. Lo scrittore non racconta infatti all’uomo che continua a visitare casa dei genitori, costantemente, ossessivamente.
Torna agli scenari (ricostruiti) della memoria che conserva, ripete i gesti per fissarli in ulteriori fotografie mentali, attraverso la nuova rappresentazione dei momenti passati con i genitori ne genera di nuovi, quelli che avrebbe voluto vivere prima che morissero. Le sue creature di fantasia appaiono allora come fantasmi inconsapevoli della loro condizione. Con loro riesce ad essere sincero per la prima volta, parlando della sua omosessualità e degli eventi che avrebbe voluto fossero andati diversamente, come quando la durezza di suo padre lo faceva soffrire e si sentiva incompreso e abbandonato.
Cristallizzati in un’epoca viva solo nella reminiscenza, i due hanno i vestiti che Adam ricorda, e tutto è bloccato in una rappresentazione fatta di proiezioni e sovrapposizioni sature in stile primi anni ’90, come nella sequenza in cui ultimano l’albero di Natale tutti insieme: sembra uscita da una VHS di qualche film su Babbo Natale.
Qualsiasi, significante, superficie del film di Haigh, dall’estetica dei personaggi alla scelta della colonna sonora, dalla fotografia di Jamie D. Ramsay alle scenografie di scenografie di Sarah Finlay, cerca di conservare quel respiro, quell’atmosfera fatta di oggetti, anche insignificanti, come un accendino o un pigiama da bambino, che il protagonista ha perduto per sempre.
Sleeping with Ghosts
Dry your eye
Sleeping With Ghosts, Placebo
Soul mate dry your eye
Cause soul mates never die
Le anime gemelle non muoiono mai, cantavano i Placebo nel 2003, ma All of Us Strangers non è un film sull’amore, bensì sulla possibilità di aprirsi finalmente a esso. L’eventualità che un estraneo come Harry entri in quel sottile equilibrio sconnesso fatto di illusioni e traumi, nonché deleteria coazione a ripetere, frammenta la proiezione di Adam, illumina una nuova comprensione di sé e del groviglio che gli pesa costantemente sul petto.
SPOILER ALERT – Durante una serata in un locale, Adam finisce in un trip da ketamina, che innesta nel sogno romantico un incubo mostruoso, fatto di demoni e solitudine, sproporzionato e devastante. Cominciamo a capire che la sua immaginazione è ben oltre la trasposizione letteraria: il suo è un delirio cosciente? O vive una serie di eventi sovrannaturali? Neanche la relazione con Harry è come la mente di Adam ce l’aveva mostrata. E dormire con i fantasmi diventa un’abitudine.
In breve
Bloccare il ricordo di una notte di Natale del 1987, prima che un evento terribile mettesse fine all’infanzia di Adam: è il bisogno urgente che lo scrittore protagonista vive, scontrandosi con la realtà e con la solitudine. E quando si innamora di Harry, simbolica rappresentazione di un’altra parte di sé, scopre sentimenti assopiti da anni.
All of Us Strangers, scritto e diretto da Andrew Haigh, gioca con la memoria e con l’impossibilità di riviverla, toccarla, modificarla. Un viaggio nel tempo mentale che scandaglia le mancanze del presente attraverso i romantici e tragici ricordi di un uomo perso nelle sue costruzioni inconsce.
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