Dalla Palma d’oro a Cannes 2023, Anatomia di una caduta di Justine Triet è inarrestabile: ha già conquistato pubblico e critica, ha trionfato agli European Film Awards, vinto come film straniero nella classifica del National Board Review. E l’unico motivo per cui non vincerà agli Oscar è soltanto la miopia della Francia, che agli Academy Awards ha proposto La Passion de Dodin Bouffant. Senza nulla togliere al film di Trần Anh Hùng, infatti, quest’anno la vittoria sarebbe stata certa con Anatomia di una caduta, almeno per l’impatto che l’opera di Triet sta avendo nei resoconti e nei premi di fine anno.
Quale verità?
Una baita in montagna, la neve che attutisce ogni suono all’esterno, una canzone troppo alta all’interno: cosa è successo davvero a Samuel (Samuel Theis) prima che il suo corpo venisse ritrovato esanime sotto la finestra? È caduto o è stato spinto? Si è forse battuto giù? E quanto è davvero necessario scoprire la verità?
Come il titolo stesso del film suggerisce, infatti, Samuel è il corpo inanimato, quello su cui si concentrano gli esami, le ipotesi e le teorie. È l’oggetto dello studio, non il soggetto, perché unica protagonista è invece Sandra (Sandra Hüller). Donna tedesca, “costretta” a lasciare la sua casa, la lingua e in parte la sua identità per vivere insieme a Samuel. Scrittrice di grande successo, a cui Samuel non può fare a meno di paragonarsi. Madre di un ragazzino di undici anni, Daniel (Milo Machado Graner), ipovedente a causa di un incidente provocato da Samuel, che forse per questo non ha mai voluto perdonare se stesso.
Tutto questo, però, lo si scopre per gradi, durante un processo che diventa un’analisi “anatomopatologica” non più della caduta ma dell’intera esistenza di Sandra: come donna, come moglie, come madre, appunto. Alla sbarra non è soltanto sotto la lente del pubblico ministero, del giudice e dei testimoni in tribunale. È di fronte a ogni spettatore, pronto a sentenziare a favore o contro di lei, indipendentemente da quella che sarà la decisione finale del tribunale.
Un film femminista che non parla di femminismo
C’è una sequenza, in particolare, che riassume il senso di Anatomia di una caduta, quella di un flashback in cui Sandra e Samuel litigano aprendo con sincerità uno le ferite emotive dell’altra. È un crescendo di rabbia e di tensione, non solo una prova attoriale straordinaria, ma soprattutto il nucleo tematico del film: la donna che non è mai “perdonata” per il suo successo, che deve scegliere fra se stessa e l’equilibrio della coppia, che è deputata al lavoro di cura altrimenti non è “abbastanza madre”. La donna, cioè, che anche nella più moderna delle relazioni è sempre minacciata da un pensiero patriarcale che la pone in contrasto e, in questo caso, in competizione con l’uomo. Anche quando “vince” Sandra in realtà “perde”, perché Samuel invalida e sminuisce la sua bravura, la sua intelligenza e persino la sua ricchezza.
Nella forza e nella determinazione con cui la protagonista riguadagna ogni centimetro perso, tornando al centro del suo immaginario palco, Anatomia di una caduta è senza dubbio un film femminista, anche se non parla di femminismo.
Guardare e non vedere
Le due più note inquadrature di Anatomia di una caduta sono due soggettive, entrambe false. La prima è diventata anche il poster del film: un’inquadratura dall’alto che riprende il momento esatto in cui Sandra e Daniel guardano il corpo di Samuel. La seconda è la soggettiva di Daniel seduto tra i banchi dell’aula di tribunale, rivolto verso la madre al banco degli imputati, che ricambia lo sguardo.
Di chi è quello sguardo così lontano e così preciso che si affaccia sulla neve nel primo caso? Proviene dalla finestra, ma in casa non c’è nessun altro. Quello è il nostro sguardo. Ed è sempre nostro anche il secondo. Perché se fosse davvero di Daniel, quasi cieco, l’immagine non sarebbe così nitida.
Justine Triet, in altre parole, in Anatomia di una caduta scommette e costruisce tutto sullo sguardo, tra Sandra e il pubblico, sulla complicità o la diffidenza che si viene a creare con un personaggio così enigmatico, a tratti aperto e trasparente, a tratti incomprensibile. Suo alleato, non a caso, è un altro personaggio, Daniel, che non può intromettersi in quello sguardo perché non può ricambiarlo, restando al di fuori di una verità completa e assoluta. È solo il pubblico, alla fine, a decidere della reale innocenza o colpevolezza della protagonista. Ma, di nuovo, ha davvero bisogno di farlo?
v.v.