Una ripresa aerea dell’Empire State Building, le Torri Gemelle in lontananza, la grana analogica di una New York degli anni Novanta che dai luoghi più noti di Manhattan attraversa la penisola oltrepassando la 125a strada verso nord. Siamo ad Harlem, quartiere newyorkese che è il primo vero protagonista di A Thousand and One, film scritto e diretto da A.V. Rockwell. Una storia sulla città, sul luogo che dal 1994 al 2005 si trasforma sotto la pressione implacabile della gentrificazione e una storia sulle relazioni, sull’amore universale tra una madre e un figlio.
A.V. Rockwell: dalla Sundance Fellowship al cinema internazionale
A Thousand and One è l’opera prima di una regista che, da tempo, era entrata nel circuito del grande cinema indipendente grazie ai suoi cortometraggi. Nominata una delle “25 New Faces of Independent Film” da Filmmaker Magazine, dall’inizio della sua carriera ha ricevuto finanziamenti e borse di studio dal Tribeca Film Institute, dalla Fondazione John Guggenheim e dal Sundance Institute. Proprio al Sundance, lo scorso inverno, con A Thousand and One ha vinto il premio maggiore del festival, l’U.S. Dramatic Grand Jury Prize.
Se vi chiedessimo quali film hanno trionfato negli ultimi dieci anni al Sundance forse fareste fatica a nominarne la metà, perché si tratta ancora di un festival poco dal grande pubblico. Eppure è da lì che ha avuto inizio il percorso di CODA o Minari fino agli Oscar e sempre dal Sundance che è nato il fenomeno di Whiplash o The Miseducation of Cameron Post.
Il meglio del cinema indipendente si riunisce ogni gennaio nella freddissima e innevata Park City (Utah) con film che ormai puntano a entrare e farsi strada nella stagione dei premi.
L’ha compreso, in Italia, Andrea Occhipinti che con la sua Lucky Red ha scelto di scommettere su un’opera in apparenza lontana dall’esperienza del nostro pubblico, ma in realtà condivisibile e universale a un livello profondo. È un’operazione simile a quella già compiuta con Moonlight di Barry Jenkins nel 2017, con un occhio ancora più allenato, dopo sei anni, nel riconoscere un film da Awards Season, lasciando da parte la scaramanzia.
Non è inoltre un riferimento superficiale né casuale quello allo straordinario Moonlight di Barry Jenkins. A Thousand and One ne potrebbe essere il vero erede spirituale per diversi motivi. Se uno dei più noti e più interessanti cortometraggi di A.V. Rockwell, Feathers, già ne ricalcava l’estetica, i colori e la caratteristica fotografia, A Thousand and One ne riproduce innanzitutto la struttura, dandosi un tempo in tre atti, ognuno basato sull’età ragazzo co-protagonista. Si focalizza, poi, e amplia anche un tema secondario ma essenziale del film di Jenkins: la famiglia. O meglio, il complesso rapporto madre-figlio e padre-figlio al di là dei legami di sangue, in un contesto sociale ostile, continuamente al confine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è legale e ciò che non lo è, ma che è necessario alla propria sopravvivenza, non solo materiale.
Inez: donna e madre, indomabile e imprevedibile
Ballerina, coreografa, cantante, attrice: Teyana Taylor è ciò che negli Usa si potrebbe definire una superstar. A Thousand and One, tuttavia, potrebbe essere il vero momento di svolta della sua ultra-decennale carriera. “Ho ricevuto una parte della sceneggiatura sulla mia scrivania e ho subito capito che avrei voluto fare questo film”, ha affermato Taylor all’anteprima a Roma. Nata ad Harlem nel 1990, Teyana Taylor è parte del tessuto della città e della realtà che A.V. Rockwell ha scelto di raccontare.
L’anima del film, già potente in sé, specchio di un luogo che non esiste più, che è stato divorato palazzo dopo palazzo, isolato dopo isolato, dal denaro dell’uomo bianco, risuona nel modo in cui Taylor interagisce con essa. Nella sua voce, nel suo corpo, nei “diversi strati”, come li ha definiti Taylor stessa, di Inez che si rivelano gradualmente, emozione dopo emozione, mostrando una donna complessa, ferita dal passato eppure fiduciosa nel futuro.
L’energia di Inez è esplosiva, lascia inermi al suolo. La sua rabbia e la sua vulnerabilità sono gli estremi opposti di un personaggio che prova a respingere il pubblico ma in realtà lo commuove e lo conquista.
Non la si riesce mai a giudicare, né quando rapisce il piccolo Terry dall’ospedale, sottraendolo al sistema di affidamento né quando il suo più grande segreto esce allo scoperto. Tutto ciò che fa lo fa per la bambina che è stata, per tutto l’amore di cui aveva bisogno crescendo e che riversa sul figlio Terry, moltiplicandolo.
È per lui che cambia vita, per quanto sia difficile per una giovane “criminale”, come si definisce all’inizio, che uscita di prigione impara al tempo stesso a prendersi cura di se stessa e di un bambino. Cade più volte all’inizio, ma è insieme a lui che trova un equilibrio.
Terry: da bambino abbandonato ad adulto consapevole
Il piccolo Terry, a soli sei anni, su un letto d’ospedale con una vistosa ferita sulla fronte pone a Inez una scelta da cui è impossibile tornare indietro. Le chiede di prendersi cura di lui, di non abbandonarlo, come aveva fatto in passato. Inez diventa madre in quel momento, quando decide di portarlo via con sé, rapirlo dal sistema di affidamento – i cui difetti e punti ciechi Inez li aveva già sperimentati sulla propria pelle – e nasconderlo per sempre, sotto un altro nome e un’altra identità, affinché le istituzioni non possano più separarli. È il segreto che per una vita intera condividono, madre e figlio, insieme anche contro la legge.
A sei anni Terry (Aaron Kingsley Adetola) vive questa scelta come l’unica possibile, nonostante la parziale diffidenza nei confronti di una madre assente per gran parte della sua vita. L’accetta, anche con tutte le difficoltà nel relazionarsi con lei, così schietta e aggressiva, in confronto al suo carattere così dolce e mite.
A tredici anni Terry (Aven Courtney) è molto più sveglio e intelligente di qualsiasi altro ragazzo del quartiere. Comprende bene cosa accade intorno a sé, dalle lavanderie di quartiere che chiudono a causa della gentrificazione fino ai problemi in famiglia. Nella sua vita con Inez, fin da subito è entrato Lucky (Will Catlett), il grande amore di sua madre, l’unico uomo con cui ha potuto confrontarsi e costruire un modello maschile, da seguire o da sfidare.
Lucky e Terry rappresentano due tipi di mascolinità molto diversi, volutamente, come afferma anche la regista Rockwell. Il primo sembra all’inizio il cliché dell’uomo nero senza lavoro, che entra in casa della compagna o moglie per farsi mantenere, intanto a settimane alterne sparisce dalle amanti. Da un momento all’altro ci si aspetta che diventi anche violento, ma è qui che Rockwell interrompe la scia stereotipata che solo in apparenza stava seguendo. Lucky sa qualcosa che Terry non sa e accetta di tenerlo segreto per amore di Inez e del ragazzino che cresce insieme a lei come un figlio.
Ogni scelta, però, comporta un peso e non sempre è in grado di sostenerlo. Per Terry, tuttavia, soprattutto nell’adolescenza, diventa una figura centrale. Memorabile (oltre che straordinariamente simile al dialogo fra Chiron e Juan in Moonlight) è il momento padre-figlio che condividono su un campo da basket, quando le loro strade sembrano dividersi ma l’amore che li lega è più forte che mai.
A diciassette anni Terry (Josiah Cross) si prende cura di Lucky in ospedale e aiuta Inez come può. Silenzioso e taciturno come sempre, è in un’età e in una fase della vita in cui il rapporto con la madre sembra quasi congelato. “Ti amo ma inizi a non piacermi più”, sono le parole che Inez gli rivolge una volta, all’improvviso, rivelando l’attrito che si è creato tra loro, l’incomunicabilità che ormai li separa.
Un finale aperto all’immaginazione
È proprio a causa di questa assenza di dialogo che Terry compie l’errore più grande, quello che da anni Inez temeva. Si espone troppo, per cercare un lavoro, rivelando la sua vera identità, quella seppellita nella memoria di un bambino di sei anni, sparito da un ospedale e mai più trovato (né cercato).
D’un tratto tutti gli indizi disseminati fin dal principio assumono un ordine e un senso e Terry scopre la verità. Una verità che cambia il senso del film in modo radicale, che ribalta la storia dal particolare all’universale: da una madre e un figlio a un intero sistema sociale sbagliato e traumatizzante.
La storia si rivela quella di un amore molto più profondo, legato alla precisa condizione dell’essere una giovane donna nera di Harlem negli anni Novanta e al tempo stesso una donna e una madre in grado di spostare montagne pur di dare al proprio figlio la vita che non ha mai potuto avere per sé.
Nessuno sa che fine fa Inez quando prende quell’ultimo taxi prima di sparire, nemmeno A.V. Rockwell. Rimane però la certezza che Terry l’abbia perdonata e, qualsiasi cosa accada, i due si sono già salvati a vicenda una volta, dal momento in cui hanno ritrovato il senso della parola casa in una brownstone di Harlem, nell’appartamento numero 1001, a thousand and one.
Il segreto – Bonus super spoiler
Se proprio non riuscite a trattenere la curiosità e volete sapere qual è il segreto finale che cambia il senso del film una volta rivelato, eccolo qui.
Il motivo per cui Inez non è in possesso del certificato di nascita di Terry ed è costretta a comprare i documenti falsi (scoperti molti anni più tardi) è che non è la madre biologica del ragazzo. Lucky ne è a conoscenza, ovviamente, essendo stato l’unico compagno di Inez per tutta la vita, ma fatica ad accettare l’idea di prendersi cura di un bambino non suo che per lo Stato risulta a tutti gli effetti rapito.
Inez, giovanissima, trova Terry a due anni e mezzo abbandonato per strada e se ne prende cura fino a che non viene arrestata per furto e incarcerata per un altro anno e mezzo. Quando lo ritrova decide di sfidare la legge e costruire insieme a lui la sua famiglia, quella che non ha mai avuto, che le manca costantemente e che la città stessa le ha tolto.
Against this whole city. They’re not breaking us up this time
Inez a Terry
Dal suo punto di vista il rapporto costruito con Terry è una rivincita su Harlem, sul suo essere ragazza del ghetto, ed è una scelta costante, la scelta di essere madre al di là dei legami di sangue e nonostante la legge stessa.
È un messaggio potentissimo che fa emergere anche i momenti migliori della recitazione di Teyana Taylor e Josiah Cross nel momento in cui i loro due personaggi si confrontano sulla rivelazione. Il modo in cui Terry continua a chiamare Inez “mamma”, anche durante la discussione finale, racchiude tutta la forza dell’amore che li lega. Tutto il senso del film.