Attrazione Fatale è prima un film, diretto da Adrian Lyne e uscito nel 1987, poi una serie TV, ideata da Alexandra Cunningham e Kevin J. Hynes e rilasciata recentemente su Paramount+.
Dal film alla serie TV
Il film, considerato ormai un cult, è una torbida rappresentazione di desiderio, gelosia e ossessione. Una tradizionale famiglia americana distrutta dal tradimento e dalla violenza che ancora oggi turba lo spettatore (basterebbe citare un coniglio e un paio di occhi bianchi per richiamare subito alla mente il terrore).
Dan Gallagher (Michael Douglas) è un avvocato felicemente sposato con Beth (Anne Archer), con cui ha una figlia, Ellen, ma si gioca tutto passando un weekend di fuoco con una collega appena conosciuta, la bionda e conturbante Alex (Glenn Close). Quella che credeva fosse una divertente parentesi di sesso extraconiugale muta velocemente in un incubo ad altissima tensione.
La serie di 8 puntate è una buona occasione per approfondire tutto ciò che un film in pieno stile anni ’80 lasciava solo all’immaginazione: non solo assistiamo a dei background utili per contestualizzare le azioni compiute dai personaggi, anche le più spaventose, ma diventa quella lente contemporanea attraverso cui guardare di nuovo la storia. Dan (Joshua Jackson) è un procuratore distrettuale (e aspirante giudice), capo della sezione reati maggiori, Alex (Lizzy Caplan) è stata appena assunta all’ufficio assistenza vittime. Beth (Amanda Peet), la moglie di Dan, mantiene i tratti rassicuranti di una donna devota alla sua famiglia, ma lavora con il suo miglior amico con cui ha fondato una società di ristrutturazioni. C’è anche la piccola Ellen, una bravissima Vivien Lyra Blair (Leia Organa in Obi-Wan Kenobi).
Puntata dopo puntata, si delineano importanti sfumature che nel film venivano lasciate all’interpretazione dello spettatore, per fornire una mappa di riferimento; quello che era un thriller con forti elementi erotici si amplia contaminandosi con il genere trial. Ma Alex Forrest continua ad essere la protagonista indiscussa della narrazione.
La serie ci accoglie con lo stesso font per il titolo, riprende dettagli, parole e piccoli gesti compiuti dai personaggi, guardando però al futuro di ognuno di essi. SPOILER – Proprio all’inizio del primo episodio, vediamo Dan in prigione per l’omicidio di Alex, che esce in libertà vigilata e contatta la figlia ormai universitaria dicendole che non è mai stato colpevole di quella morte. Da lì in poi sarà solo un viaggio a ritroso, inframezzato da momenti presenti, per capire se l’uomo stia dicendo la verità o meno.
Alex Forrest: come raccontare un’ossessione
L’aura demoniaca di Glenn Close nel film del 1987 abbandona il personaggio di Alex nella nuova trasposizione, che ne attraversa invece tutte le fragilità. L’ossessione maniacale della donna, che la porta a stalkerare Dan e la sua famiglia, è maggiormente contenuta nei gesti plateali ma molto più estesa a livello psicologico: se prima era rappresentata come un’entità puramente instabile e negativa ora le sue problematiche si inseriscono in un quadro di analisi molto più complesso.
Come se non fosse già chiara tale evoluzione, la figlia ormai adulta di Dan, studiosa di Jung, continua a ripeterci le forme strutturali della psiche femminile teorizzate da Toni Wolff, insistendo sulla donna Medium, quella che più somiglia all’amante del padre.
Nel film solo un poliziotto si permette di dire a Dan che sta semplicemente pagando le conseguenze delle sue azioni, ma di fatto Alex muore violentemente e tutto torna al proprio posto. Nella serie le colpe della controparte maschile vengono espiate in carcere e non solo: la sua vita è completamente e irrimediabilmente segnata, così come il rapporto con la moglie e la figlia. Alex non è solo “pazza”, ma una vittima con disturbi psicologici di un certa gravità (che sta provando a curare andando in terapia). E in molti ne difendono la memoria, accusando Dan di essersene approfittato.
La differenza principale è l’empatia che, nonostante tutto, proviamo in alcuni momenti con Alex Forrest e con il suo bisogno di affetto, che continua a cercare, insistentemente, in qualunque uomo si interessi a lei. Niente più immedesimazioni tragiche con Madama Butterfly ma un disturbo consapevole. Ne abbiamo ancora paura, non perché uccide coniglietti e li mette in pentola, ma perché non sappiamo fino a dove può arrivare la sua malattia.
Incubi di pelle nera
Basta una giacca di pelle nera per connotare una femme fatale degli anni ’80, o in questo caso un impermeabile. Ellen Mirojnick, la costumista del film (ma anche di Oppenheimer, di prossima uscita), dona al personaggio di Alex un guardaroba ricco di contrasti: tutte le sue luci e ombre tradotte in completi giacca-pantalone e abiti lunghi. Solo bianchi candidi o neri pieni, con sporadica presenza di abiti più sportivi ma solo nei momenti in cui la donna è visibilmente rilassata. In particolare è appunto l’impermeabile morbido di pelle nera che rende iconica la presenza di Alex: metà maniaca e metà fashion victim. Sarà poi il vestito bianco con cui morirà a confermarne l’identità dissociata.
La pelle nera viene ripresa dalla costumista della serie TV, Amy Stofsky (Mulholland Drive, The Leftovers), che la rende contemporanea senza perderne il fascino vintage. Alex indossa vari modelli di giacche di pelle, anche in ufficio, e un abito dello stesso materiale, proprio la sera in cui Dan diventa il suo amante.
In breve
Attrazione Fatale torna in una forma nuova, riveduta e riscritta, e con un approccio diverso. Risulta molto più sensibile alle problematiche dei personaggi, in primis di Alex Forrest. Nel ricordo di Michael Douglas e Glenn Close, il Dan di Joshua Jackson tende a scomparire dietro a Lizzy Caplan e a tutto ciò che non dice, ma che trasmette attraverso una serie di sguardi da brivido.
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