Se non se ne fosse già parlato a sufficienza, la prima cosa da mettere in chiaro riguardo La Sirenetta di Rob Marshall è che Halle Bailey è perfetta nella parte, senza bisogno di giustificazioni o dibattiti sul colore della pelle di un personaggio immaginario.
Fugato ogni dubbio a riguardo, il live action del Classico Disney del 1989 è a sorpresa uno dei più apprezzabili e meglio realizzati fino a oggi, non solo per la qualità tecnica ma soprattutto per la capacità di raccontare la stessa identica storia adattandola alle esigenze di un pubblico diverso, anche più maturo e più consapevole di determinate dinamiche dello storytelling disneyano, soprattutto quelle che tendono a semplificare e banalizzare le storie delle Principesse.
Ariel è finalmente un personaggio a tutto tondo e a presentarcela davvero è questo film, dopo 34 anni.
Un’ora in più per entrare nel mondo di Ariel
È la stessa storia, abbiamo detto, ricalcata quasi battuta per battuta – e ci arriveremo a quello che manca – eppure rispetto al film d’animazione originale ci sono 52 minuti in più. Circa un’ora usata da Rob Marshall e da David Magee (lo sceneggiatore) per estendere scene e dialoghi, aggiungere personaggi e contesti, dare un senso a quell’isolamento che invece nel cartone animato caratterizzava il castello del principe Eric, senza passato né presente o futuro.
Le spiagge si popolano di pescatori e di mercati, di colori e di volti. Non viene mai specificato ma il luogo in cui è ambientata la fiaba assume le sembianze di un’isola caraibica (anche se le scene più celebri, tra cui quella dello scoglio, sono girate in Sardegna). Acquista senso allora – e non è cosa da poco, perché è coerente con il contesto e non soltanto una caratterizzazione etnica del maggiordomo del Re – l’accento del granchio Sebastian, che vi consigliamo sempre di ascoltare in lingua originale, anche se in italiano è doppiato da Mahmood. Nell’originale del 1989 la voce era quella di Samuel L. Wright, nel live action è di Daveed Diggs, noto per il musical Hamilton.
Sebastian rafforza anche il suo ruolo di spalla comica del film, grazie alla sua spiccata ironia – che strappa vere risate, non solo sorrisi compiaciuti – e a numerose scene di dialogo inedito con Ariel. Dialogo, si fa per dire, perché come è noto la Sirenetta rinuncia alla sua voce per vivere in superficie.
Part of Your World
La questione della voce è il nucleo della storia, l’elemento su cui il live action avrebbe potuto fallire diventando una lezione pedante e su cui invece vince la sua scommessa.
Sparisce dalle battute di Ursula e dal brano Poor Unfortunate Soul l’idea che una donna silenziosa, anzi muta, riesca con più facilità a far innamorare un uomo. Lo ricordate? Ursula nel cartone animato arriva a mimare la seduzione del corpo femminile come “unica arma” che serve a una donna, quando Ariel si mostra titubante nel rinunciare alla sua voce.
Certo, quella era solo la versione della villain, ma al contrario questa Ariel del 2023 non pensa solo a Eric quando accetta il patto. Il suo è un desiderio molto più ampio e profondo che non ha quasi nulla che fare con il colpo di fulmine tipico dei Classici Disney. Il desiderio pulsante della Sirenetta – che esplode nel momento in cui la coda rimane ben ferma sugli scogli ma il busto si spinge verso la riva, nell’iconica scena che abbiamo scelto anche come immagine di copertina di questo articolo – è soltanto quello di appartenere al mondo che le è vietato, attraversare il confine.
Il fatto che questo confine sia anche rappresentato nel concreto da una coppia mista, Halle Bailey e Jonah Andre Hauer-King aggiunge un ulteriore sottotesto al film, ma è sottile e soprattutto lontano dal mondo fiabesco in cui la storia è ambientata e dove, dunque, non esistono riferimenti diretti al pluralismo culturale, se non la divisione fra popolo terrestre e popolo marino.
Kiss the Girl
Con una certa soddisfazione si può dire che La Sirenetta di Rob Marshall, come altri film Disney prima di questo a partire da La principessa e il ranocchio (2009), abbandona lo stereotipo del “vissero felici e contenti” in cui la storia d’amore non esiste, ma si immagina dopo i titoli di coda.
Sotto l’incantesimo di Ursula, Ariel dimentica di avere solo tre giorni per baciare Eric e restare umana e questo, rispetto alla vuota relazione tra i due nel cartone animato, permette di vedere come nasce, passo dopo passo, il loro legame. La scena di Kiss the Girl (altro brano leggermente modificato nel testo, meno imperativo) diventa così il momento in cui si spera davvero nel bacio tra i due come al culmine di una commedia romantica e non solo come la missione che Ariel deve portare a termine a ogni costo per restare sulla terraferma.
Eric, d’altro canto, non ha un grande ruolo nel film se non quello di innamorarsi di Ariel. Lo fa in modo impeccabile, tanto che la scena della scoperta del nome di lei tra le costellazioni sarà difficile da dimenticare. Era e rimane, però, un personaggio piatto a cui il live action dà almeno la possibilità di esprimersi attraverso un brano inedito (Wild Uncharted Waters), purtroppo trasformato da Jonah Andre Hauer-King in un’imitazione di Zac Efron in High School Musical.
Da Eric a Ursula e Tritone: intorno ad Ariel
Non si può dire lo stesso di Ursula, una grande Melissa McCarthy in grado di mitigare la pura malvagità del personaggio originale con un inedito umorismo che riattualizza la “Strega del mare”, la rende un personaggio più credibile e più stratificato.
Il vero nemico di Ursula, si sa, non è però Ariel, è il Re Tritone ossia Javier Bardem. L’unico attore su cui ricadono le poche scelte meno riuscite della regia, tra cui un mantello di pesciolini, qualche scena di troppo con la parrucca bagnata fuori dall’acqua – che lo rende poco credibile – e uno zoom su di lui, velocissimo e stile anni Settanta, così senza senso da diventare divertente. Il suo Re Tritone, tuttavia, è il fulcro del secondo tema più importante della Sirenetta dopo il bisogno di ribellarsi e trovare la propria appartenenza, anzi vi è strettamente connesso: il rapporto padre-figlia. Conflittuale ma pieno d’amore, è un rapporto che matura soltanto perché Ariel si dà il permesso di disobbedire e trovare la sua strada da sola, aprendo gli occhi anche al padre.
L’importanza di Halle Bailey
Si parlerebbe così tanto di una nuova Sirenetta se non fosse per Halle Bailey? Forse no, lei è il centro, il cuore e naturalmente la splendida e commovente voce di questo live action. Come già detto, discutere sul perché sia una Sirenetta nera è un punto di vista sterile (e razzista), ma ribaltando la prospettiva, è importante capire cosa significhi questa scelta per l’industria cinematografica e per il pubblico.
All’interno di un sistema in cui per decenni i ruoli destinati agli afroamericani sono stati solo quelli stereotipati della spalla comica, del servo, dello schiavo o del criminale, personaggi di fantasia (da Black Panther al Miles Morales dello Spider-Verse e da Tiana a La Sirenetta) costruiscono un nuovo immaginario per i piccoli spettatori di oggi, un album più grande dove è più facile trovare la fotografia di qualcuno che somigli a loro, che abbia una storia per loro.
Non c’è bisogno di ricordare la quantità di video che circolano sui social da mesi, sui bambini e le bambine emozionati fino alle lacrime nel vedere una Sirenetta in cui riconoscersi e “specchiarsi”: una Principessa con degli splendidi dreadlocks (quelli veri di Halle Bailey, tinti e curati da un’apposita hair stylist sul set, Camille Friend).
Al tempo stesso, per tutti gli altri, cosa cambia davvero? Ci si arricchisce soltanto, senza perdere nulla, nel confrontare diverse versioni di un personaggio che credevamo radicato nella nostra cultura europea (Hans Christian Andersen), ma che è invece diventato universale, nel racconto più generico di due mondi in conflitto che non riescono a comunicare fra loro. Leggeteci qualsiasi polarizzazione dei giorni nostri che preferite e sì, ovviamente anche quella fra la visione dominante del mondo bianco e quella dei “margini”, dei BIPOC (black, indigenous & people of color).
In breve
Non credete, in sostanza, a chi vi dice che un live action sia una scelta di comodo per chi non ha più niente di nuovo da dire.
La Sirenetta di Rob Marshall, pur rimanendo fedele al ricordo del film d’animazione, ne rinnova lo spirito, avvicinandolo alla sensibilità odierna, adattandolo tanto per quel pubblico che conosce l’opera di 34 anni fa ma nel frattempo ha maturato la propria visione, quanto per una nuova generazione di piccoli spettatori e spettatrici, che sa già quanto vale la sua voce, molto più di un bacio del principe Eric. Ma questo noi millennials l’abbiamo scoperto molto tempo dopo.
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