Per la nostra rubrica dedicata agli incontri con artisti emergenti del panorama musicale italiano, parliamo oggi con Marchi: alcune essenziali domande per iniziare ad entrare nel suo mondo.

Con il giovane cantautore sardo, parliamo del suo nuovo singolo, Gennaio, e del video che lo accompagna. Perché si tratta di un’opera suggestiva, dalla quale crediamo sia interessante partire per arrivare a conoscere meglio l’artista e la sua musica. Come un affascinante percorso a ritroso dall’opera a colui che l’ha creata.

Il video ritrae la scampagnata tra le Alpi retiche degli anni ‘30 di due amici che vivono intimamente la scoperta del loro reciproco amore. Da dove nasce l’ispirazione per questa storia così particolare?

Col regista, Giovanni Iavarone, ci siamo lasciati affascinare da una serie di bellissime foto d’epoca che ritraggono coppie di innamorati omosessuali di fine ‘800 e inizio ‘900. Ragazzi e ragazze di ogni età e provenienza che si facevano ritrarre in bianco e nero in un momento felice e romantico della loro vita, tra le braccia del proprio compagno o compagna, a sfidare il tempo e i pregiudizi. Queste foto d’epoca ci hanno ispirato molto, così abbiamo immaginato cosa ci potesse essere dietro a uno di quegli scatti, che giornata avessero appena vissuto le persone ritratte.

C’è qualcosa di tuo nel video o nella storia raccontata all’interno di esso?

Ogni cosa che scrivo arriva direttamente da un fatto che ho vissuto o da un sentimento che ho provato. È sempre tutto autobiografico. Anche perché non credo di essere una persona particolarmente creativa. Non riuscirei a inventare niente di sana pianta. “Se non esistessero i funghi, non riuscirei a immaginarli” per dirla citando Morgan!

Gennaio, Marchi – Credits: Conza Press

Il pezzo è in perfetta simbiosi con il video, sembra la sua colonna sonora, piuttosto che questo la messa in immagini del brano. Qual è la relazione tra i due?

Mi fa molto piacere che tu lo dica, è tutto merito della sensibilità e della sapienza del regista, Giovanni Iavarone. Che è prima di tutto uno dei miei amici più cari. Mi sono affidato alla sua intelligenza emotiva e alla sua capacità innata di mettere a fuoco le storie rispettandone l’essenza. Sapevo che avrebbe regalato al pezzo qualcosa di unico. Le immagini che ha trovato sono molto fedeli allo spirito intimista del pezzo.

Hai definito Gennaio una canzone-polaroid. Hai già un’idea di come riuscire a darle questa forma all’interno di un concerto?

È ancora un gran dilemma, perché la canzone ha un arrangiamento orchestrale importante che per ovvie ragioni non può essere riproposto in concerto. Credo che per rispettare la sua natura intima e sospesa sia meglio proporre una versione acustica, servendosi soltanto di pianoforte e voce. Del resto, è nata proprio in questo modo qua, dentro a una cameretta!

Sei laureato in Discipline delle Arti della Musica e diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia. Perché hai scelto la musica più che il cinema?

Perché la musica ti permette di avere subito un risultato tangibile di quello che fai! Scrivi una canzone e la fai sentire a chi ti pare. È tutto più gestibile e puoi comunicare nell’immediato, in modo più libero e onesto! Il cinema, invece, per la maggior parte delle volte, ha a che fare con committenze; e un film è un’arte complessa che coinvolge una marea di persone fin dalla fase dell’ideazione, che significa che per portarlo avanti devi scendere a molti compromessi. Quando scrivi un film, prima di vederlo realizzato passano almeno tre anni!

E allora ecco a voi il video di cui abbiamo parlato, Gennaio di Marchi:

Marchi su Instagram: https://www.instagram.com/michelemarchi/

Domande a cura di Alessio Tommasoli. Per ulteriori informazioni visitate il sito ufficiale di Conza Press.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.