Le conseguenze dell’amore | La solitudine in Paolo Sorrentino

Le conseguenze dell'amore
Toni Servillo in Le conseguenze dell'amore (Sorrentino, 2004)

La cosa peggiore che può capitare ad un uomo che trascorre molto tempo da solo è quello di non avere immaginazione. Recita così uno dei primi monologhi di Titta De Girolamo (Toni Servillo), protagonista del film Le conseguenze dell’amore (Paolo Sorrentino, 2004). 

Un monologo che non lascia spazio alle considerazioni in merito al focus dell’intera storia, ovvero la solitudine. Sentimento che divora l’animo umano rendendo la persona come un morto che cammina. Titta De Girolamo, che “di frivolo ha solo il nome”, è un uomo che a causa di scelte sbagliate verso affari di dubbia liceità, è un emarginato. Vive lontano da tutti, è separato dalla moglie da dieci anni e non ha più un legame, né con i suoi genitori e né con i suoi figli, allontanatisi ritenendolo un uomo malavitoso.

Titta è abbandonato, isolato. Vive in una stanza d’albergo e l’unica interazione umana che ha è quella con il direttore dell’hotel e con una coppia di anziani signori, che per far fronte agli svariati debiti accumulati nel tempo, giocano a carte con lui, accaparrandosi i soldi delle vincite in modo truffaldino. 

Nonostante la causa che costringe Titta alla totale alienazione dal mondo sia la sua attività illecita, la sua estraneazione è dovuta anche ad un qualcosa di morale, più viscerale e intimo, ovvero la paura di non essere amato. È l’amore la conseguenza di ogni cosa, persino di un sentimento contrastante come la solitudine. 

Titta è solo, perché ha paura dell’amore, ma non della sua forma più nobile, l’amare, bensì il terrore di non essere amato. Proprio come è accaduto con la moglie, con i suoi genitori e con i suoi figli. Titta ha paura della non reciprocità.

LA FUGA EMOTIVA E IL RISVEGLIO DI TITTA DE GIROLAMO

Il tema del film è l’amore, non come un’emozione da vivere, ma come un’emozione da evitare per non soffrire. 

Il protagonista gioca d’anticipo ed allontana chiunque lo incontri, muovendosi con destrezza tra l’essere burbero e scorbutico, con l’unico proposito di tenere a distanza le persone, per difendersi da tutto ciò che può farlo sentire vivo. Considera la solitudine come l’unica arma a disposizione per salvarsi, ma nessuno si salva dall’amore. Proprio quando Titta si innamora della giovane barista dell’albergo in cui vive, quindi, ha inizio il suo totale declino. È ciò che lo costringe a uscire da quella che si definisce, la comfort zone, da lui creata con cura negli anni. 

È l’amore che sbilancia gli equilibri.

L’amore fa uscire Titta De Girolamo dalle barriere della solitudine e della riservatezza. Lo convince a lasciarsi andare e a credere di poter essere ricambiato. Anche se il destino con lui non è clemente, e nell’equivoco finale ritorna, ancora più forte la sua solitudine. 

Le conseguenze dell’amore – Credits: Medusa Distribuzione

Ed è così, che sulle note disimpegnate di Rossetto e cioccolato di Ornella Vanoni, Paolo Sorrentino, si diverte con ironia a creare una bislacca assonanza tra una canzone leggera e l’epilogo infausto del film.

D’altronde il continuo contrapporre l’ironia alla tristezza è un terreno di gioco nel quale il regista si destreggia in modo agonistico e sublime, come si destreggia, in modo altrettanto ineccepibile, sul tema della malinconia, onnipresente nei suoi film. 

In Le conseguenze dell’amore la malinconia ha un nome ed un cognome: Dino Giuffrè, il miglior amico d’infanzia di Titta.

È proprio nel momento più buio della sua vita che Titta decide di aggrapparsi, non alle persone che ha amato e che lo hanno abbandonato, ma all’immagine del  suo migliore amico. Dino è lì, da qualche parte sulle montagne, sui fili dell’elettricità e, nonostante non si siano più visti dai tempi dell’infanzia, lo starà ancora pensando.  

Quando uno è amico una volta, è amico tutta la vita

Così alle volte l’uomo non può essere salvato solo dall’amore, ma esiste un sentimento ancor più alto ed imperituro che lo salverà per sempre, la malinconia.

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Annamaria Martinisi
Sono il risultato di un incastro perfetto tra la razionalità della Legge e la creatività del cinema e la letteratura. La mia seconda vita è iniziata dopo aver visto, per la prima volta, “Vertigo” di Hitchcock e dopo aver letto “Le avventure di Tom Sawyer” di Mark Twain. Mi nutro di conoscenza, tramite una costante curiosità verso qualunque cosa ed il miglior modo per condividerla con gli altri è la scrittura, l’unico strumento grazie al quale mi sento sempre nel posto giusto al momento giusto.