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Minami Bages e Johnny Depp in "Il Caso Minamata". Credits: Sky Cinema

Presentato alla 70ª Berlinale, nel febbraio 2020, Il caso Minamata di Andrew Levitas aveva immediatamente attirato le attenzioni della critica sia per il soggetto del film, sia per l’intensa interpretazione di Johnny Depp. Asciutta, semplice eppure straordinariamente empatica, una delle migliori della sua carriera. Arrivando nel momento peggiore della sua vita privata, tuttavia, è un ruolo che rischia di rimanere sconosciuto.

Al di là dell’uscita in sala nel Regno Unito, infatti, la MGM che ne aveva acquistato i diritti temporeggia ancora, evitando la distribuzione statunitense. E in Italia Il caso Minamata salta direttamente la sala arrivando in prima visione assoluta su Sky Cinema (dal 17 settembre).

Un vero dispiacere, da un lato. Dall’altro una preziosa possibilità di scoprire ugualmente la storia di Minamata e dello sguardo che l’ha raccontata.

William Eugene Smith e Minamata

William Eugene Smith, noto semplicemente come Gene, fu uno dei più grandi fotoreporter della rivista Life negli anni ’40 e ’50. Durante gli anni ’60 si allontanò dalla fotografia in senso stretto, creando un progetto più ampio, il Jazz Loft Project: una serie di registrazioni e ritratti di musicisti nel suo loft di New York. Nel 1971, in cui è ambientato il film, si riavvicinò a Life proponendo un reportage su Minamata, villaggio di pescatori avvelenato dal mercurio degli scarichi industriali in acqua. Per due anni, fino al 1973, Smith visse a Minamata, insieme ad Aileen Mioko Smith, sua seconda moglie e co-autrice del (foto)libro da cui è tratto il film di Levitas.

Attraverso il suo lavoro di documentazione fece da cassa di risonanza internazionale alla tragedia di Minamata, contribuendo enormemente anche in fase giudiziaria. E di fatto, la sua stessa morte, avvenuta nel 1978, fu una conseguenza della lealtà alla causa. Non si riprese mai del tutto, cioè, dalle percosse subite durante il reportage del 1971.

Johnny Depp in Il caso Minamata. Credits Sky Cinema/Horricks

Lo sguardo fotografico al cinema

Parte essenziale del film e dell’identità del suo protagonista è il rapporto con la fotografia. La vita che diventa immagine immortale e si trasforma in qualcos’altro, in simbolo universalmente riconoscibile. Smith, attraverso Depp, afferma che la fotografia strappa un pezzo di anima anche a chi la scatta, non solo a chi è ritratto. E nello stretto legame, fisico e psicologico, con la creazione delle immagini risiede appunto il fascino del film di Levitas. Esemplare è una delle primissime sequenze, dentro la camera oscura di Smith, sulle note di I’d Love to Change the World (Ten Years After). È un rito, conosciuto e misterioso al tempo stesso, un equilibrio perfetto di chimica ed esperienza, di arte e genio. Le mani accarezzano le fotografie in sviluppo come fossero qualcosa di vivo. E vive lo sono davvero, come dimostra successivamente la regia.

Nelle frequenti transizioni dal colore al bianco e nero e dal movimento al fermo immagine e viceversa, Levitas ci offre il privilegio di entrare dentro la macchina fotografica di Smith/Depp. Non solo di appropriarci momentaneamente del suo sguardo, ma di essere, in un certo senso, il suo strumento. E lo fa con la stessa delicatezza che si percepisce negli scatti originali (come Il bagno di Tomoko). Quella rispettosa distanza che, in ogni caso, per dare un senso al reportage è dovuta penetrare nell’intimità delle case, scovando la bellezza nell’anomalia e il sublime nella tragedia.

Il caso Minamata è disponibile su Sky Cinema e NOW TV.

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